Giocare per insegnare, insegnare a giocare
Calciatori, ciclisti, attori, poeti, chef, animali, invenzioni, pellerossa o supereroi; quadrate, rettangolari, triangolari, tonde, in bustina, nei cioccolatini, nei pacchetti di sigarette o di fiammiferi. Due elenchi che potrebbero essere facilmente allungati. Cercare di mettere limiti al mondo delle figurine è un’impresa veramente ardua: non esiste soggetto che non sia stata attaccato su di un album; un fenomeno dalle radici profondissime, anche se associato, nell’immaginario collettivo, a pochi punti fermi: il feroce Saladino, i punti della Mira Lanza, i capolavori delle raccolte Liebig, i calciatori Panini e poco altro.
La passione per le figurine aveva a suo tempo coinvolto Luigi XIV (1638-1715), che, fin da piccolo, imparò giocando: per iniziativa del cardinal Mazzarino, che ne aveva affidato la progettazione al poeta e drammaturgo Jean Desmarets de Saint-Sorlin (1595-1676) e la realizzazione all’incisore italiano Stefano Della Bella (1610-1664), il futuro Re Sole potè trastullarsi con quattro giochi di carte, con argomento le favole, la geografia, i re di Francia e le regine famose (Penelope, Ester, Messalina, Brunilde, Maria Stuarda, ecc.), stampati anche in volume (Paris, Le Gras, 1644). Fra i precursori di questo genere di attività educative un altro italiano, l’umanista Vittorino da Feltre, che «raccomandava per i suoi studenti un alfabeto in forma di lettere dipinte in vari colori per giocare a carte» (Stefano Torselli, Carte da gioco educative). Sarebbe poi stata la volta di un frate francescano strasbughese, Thomas Murner (1475 ca.-1537), che inventò carte pedagogiche per l’insegnamento della filosofia e del diritto romano destinate ai suoi allievi delle università di Friburgo e di Cracovia, e dell’abate Claude Oronce Finé de Brianville (1608-1674), con il suo gioco sulle armi d’Europa per l’insegnamento dell’araldica (ibid.).
Nate dunque con il compito di istruire divertendo, le figurine hanno in molti casi mantenuto questa funzione fino ai giorni nostri. Meno raffinate, ma senz’altro più redditizie, quelle del geniale imprenditore francese cui si deve la nascita del primo modello di grande magazzino in un’ottica moderna: Aristide Boucicaut (1810-1877).
Fra commercio e propaganda
Boucicaut fu il primo a intuire le potenzialità commerciali del gioco, sfruttando il retro delle figurine per stamparvi sopra messaggi pubblicitari: quelle della prima serie distribuita nel suo Au Bon Marché (1867) venivano regalate ogni giovedì ai bambini, giorno di chiusura delle scuole francesi. Le figurine di Boucicaut erano a colori, e vi erano disegnati uccelli, pesci, costumi, città, cattedrali e decine di altri soggetti. Grandi e piccini facevano di tutto per poter rimpinguare la propria collezione, e le cronache del tempo narrano che l’intuizione fruttò al geniale imprenditore la cifra esorbitante di venti milioni di franchi d’oro l’anno. Sarebbero poi venute le “figurine delle sedie”: ne erano sufficienti un paio per poter affittare una sedia a sdraio nei parchi parigini.
Ma le figurine non furono sempre ben viste. Alla fine dell’Ottocento, in Svizzera, si contestò a Jean Tobler (1830-1905) il costo del passatempo e la promessa di corrispondere 10 franchi svizzeri a chiunque ne avesse completato la raccolta. Tobler, che negli anni Sessanta aveva aperto a Berna la sua prima cioccolateria, «rifiutò di prendere misure in proposito e venne accusat[o] di frode: alcune figurine non si trovavano mai e si sospettava che addirittura non esistessero. Tobler ammise che certe erano stampate in numeri ridotti […] [e] [l]a disputa arrivò in tribunale; Tobler venne assolto dall’accusa di frode poiché poté provare che alcuni premi erano stati effettivamente pagati ma, a sorpresa, fu condannato per conduzione illegale di lotterie e fu costretto ad abbandonare le figurine» (Paola Basile, a cura di, Il museo della figurina. Dagli antecedenti alla figurina moderna, con la collaborazione di Thelma Gramolelli, Modena, Panini, 2014, p. 55).
Più tardi sarebbe stata la Germania nazista a sfruttare le potenzialità comunicative delle figurine, mettendone in circolazione numerosi album propagandistici rivolti ai fumatori: i Zigaretten Album. Il nazionalsocialismo poté così «subdolamente entrare nelle case dei tedeschi attraverso piccole miniature colorate, volte a plasmare fin dalla tenera età il perfetto ariano» (ibid., p. 60 sg.).
Il resto alla prossima puntata.
di Massimo Arcangeli e Sandro Mariani