Al tempo delle notizie nate sui social media è diventato virale il tatuaggio che, dopo la sbronza dell’ingresso in finale di Champions, un tifoso juventino ha voluto dedicare al brutto anatroccolo tra i suoi beniamini, Simone Padoin. Fossero oggi trenta anni fa, una intera foto di gruppo inchiostrerebbe gli avambracci di decine, centinaia di fanatici, perché la classe operaia veronese nel Paradiso del pallone si presentò a ranghi completi. Era il 12 maggio del 1985 e un pareggio a Bergamo contro l’Atalanta rendeva ancora una volta la matematica scienza esatta: a tre anni dal ritorno in A il Verona era campione d’Italia. Mai, dagli anni Venti, una città non capoluogo di regione era arrivata davanti a tutti, mai più sarebbe accaduto in futuro.
“Sono passati trenta anni, ma la memoria di quei giorni è viva più che mai” dice Osvaldo Bagnoli, l’allenatore di quella squadra. Il mago della Bovisa allora aveva mezzo secolo, l’età adatta per trasformare gli sguardi perplessi in entusiasmo. Era giunto in Veneto nel 1981 con gli scaligeri in B e aveva sorpreso sin dal primo anno nella massima serie, giocato alla pari con tutti. L’undici era composto, in buona parte, dagli scarti delle grandi: c’erano “il più forte portiere del mondo senza mani” Claudio Garella, il friulano Pietro Fanna, Nanu Galderisi e Antonio Di Gennaro. Il capitano veniva da Cernusco sul Naviglio come Gaetano Scirea. Roberto Tricella avrebbe preso il posto del suo concittadino al centro della difesa della Juventus, non prima di aver alzato al cielo il più improbabile degli scudetti.
“Allora il campionato italiano era il più ambito, qui approdavano i più forti giocatori al mondo – racconta Tricella, che oggi è tornato in provincia di Milano e ha abbandonato il mondo del pallone – C’erano Platini e Boniek, il primo Maradona, Zico, Rumenigge e Socrates: pochi in ogni squadra, ma fenomenali. Eravamo un ottimo collettivo: più volte nel corso degli anni Ottanta ci piazzammo nelle zone alte della classifica, nonostante ogni estate fossimo costretti a vendere due o tre pezzi pregiati per esigenze di bilancio. Tra la B e la A diversi giocatori avevano vissuto il loro percorso di maturazione e arrivarono alla stagione 1984-85 nel momento migliore della loro carriera. Il salto di qualità avvenne con il tesseramento di due stranieri eccezionali: Briegel e Elkjaer”. Il primo era un gigante tedesco che arava avanti e indietro tutta la fascia sinistra, il secondo era altrettanto prepotente e veniva dalla Danimarca. Di Cavallo Pazzo Elkjaer si ricordano soprattutto il gol senza una scarpa contro la Juventus, il whisky e le sigarette ai cancelli del Bentegodi, bene sarebbe menzionare il secondo e terzo posto alle spalle di Platini a due edizioni consecutive del Pallone d’oro. “Il materiale umano c’era – prosegue Tricella – Inoltre quello fu l’ultimo anno del sorteggio integrale degli arbitri e noi fummo fortunati a pescare sempre i fischietti migliori”.
Mai si potrà dire che fu il caso, la buona sorte a spedire Verona nell’albo d’oro: quel campionato fu dominato sin dalle prime giornate dai gialloblu, che misero in fila Torino, Inter, Samp, Milan e la Juventus, che poche settimane dopo sarebbe tornata sul tetto d’Europa nella tremenda notte dell’Heysel. “Meritammo quel trionfo, vincemmo grazie alla qualità del nostro calcio – afferma Osvaldo Bagnoli – Il nostro segreto? Un gruppo spettacolare, che crebbe in convinzione senza mai montarsi la testa. Ricordo che a Capodanno, passato tra noi della squadra, Fanna brindò a una possibile grande vittoria. Eppure durante le interviste nessuno andava oltre l’obiettivo salvezza. Io, Pietro, Luigi Sacchetti e il direttore sportivo Mascetti siamo rimasti qui a vivere dopo quella esperienza: a 30 anni distanza l’amicizia non si è estinta”.
Chi lungo l’Adige è nato, chi non se ne è più andato, chi ha preso una strada che ha sempre un ritorno. In queste settimane, tra musica e cene, sono stati tanti gli eventi in città per celebrare quell’epopea. Quasi come allora. “La sera del tricolore andammo ospiti alla Domenica Sportiva – racconta capitan Tricella – Tornammo molto tardi e la gente era ancora in piazza: fu una festa straordinaria. Solo anni dopo ho realizzato che grande impresa fummo capaci di realizzare”.