di Aurora Notarianni*
Nel mondo che vorrei c’è il lavoro non il mercato.
Un sistema circolare, con una buona integrazione tra servizi di collocamento e misure di sostegno al reddito; un sistema che consenta a ciascuna persona, residente in Italia, di esercitare il diritto ed adempiere al dovere di lavorare per sé, per la propria famiglia, per la comunità; un sistema che consenta di avere, nel caso di temporanea non occupazione, un reddito minimo che garantisca una esistenza libera e, soprattutto, dignitosa; ma anche un sistema che contrasti l’esclusione sociale per chi da tempo è privo di occupazione.
Si parla di diritto di esistere: lo ius existentiae è un diritto originario e la dignità umana non è soltanto un diritto fondamentale in sé ma costituisce la base stessa dei diritti fondamentali.
Mentre continuo è il mantra de l’Europa-ce-lo-chiede proviamo a vedere in cosa ancora l’Italia-non-provvede. Siccome l’Europa ce lo chiede, il governo è intervenuto sulla flessibilità riformando il modo di assumere e di licenziare, ha introdotto il contratto di ricollocazione, è intervenuto sui cosiddetti ammortizzatori sociali, ha dotato le Regioni di 20 milioni di euro finanziando il fondo per le politiche attive del lavoro per ciascuno degli anni 2015 e 2016.
Eppure, per avere un lavoro davvero flessibile, gli ammortizzatori sociali dovrebbero rappresentare solo una temporanea integrazione al reddito tra un lavoro e l’altro.
Solo così è possibile liberarsi dalla trappola della disoccupazione, far funzionare la “condizionalità” imposta dalla NASpI (nuova indennità di disoccupazione) ed impedire che i minori contributi versati incidano sui futuri trattamenti pensionistici zavorrando un sistema già compromesso dal carico di due generazioni di precari. La NASpI, infatti, non sarà erogata a chi non partecipa ai percorsi di riqualificazione professionale e di avviamento al lavoro e decresce con il passare dei mesi.
E in che cosa dunque l’Italia non ha ancora provveduto? Sono almeno due gli interventi normativi che ancora mancano e sono indispensabili ed urgenti perché davvero possono mettere in moto l’economia reale e cambiare il Paese: la riforma dei servizi all’impiego e la legge che introduce il reddito minimo garantito.
Il governo, entro la metà di giugno, deve dare attuazione alla delega per la riforma dei servizi all’impiego d’intesa con la Conferenza Stato Regioni ed, in mancanza, provvedere con deliberazione motivata. Se è vero che la priorità è quella di garantire a ciascuno il diritto di esistere, il collocamento al lavoro è la prima fonte di reddito per assicurare un’esistenza libera e dignitosa. Il governo, con la riforma dei servizi all’impiego può, quindi, attribuire ai Centri per l’impiego che già esistono nel territorio il compito di attuare i percorsi lavorativi o formativi ed anche di erogare il reddito minimo.
Immagino un sistema snello, una banca dati di domanda/offerta e di informazione continua, una gestione amministrativa unitaria che renda altresì evidente che la misura del reddito minimo garantito non è rivolta a soggetti esclusi dal mondo del lavoro ma è solo una misura provvisoria che serve, come in molti paesi d’Europa, al lavoratore nel periodo intermedio a quello strettamente necessario a collegare domanda e offerta di lavoro e ad orientare ed informare sui diritti.
Questa è la Policy europea da oltre vent’anni: dalla raccomandazione n. 441/92, reiterata nel 2008 e poi con la risoluzione 8 aprile 2009, che indica la misura adeguata del reddito minimo garantito non inferiore al 60% del reddito mediano da lavoro dipendente.
L’Italia non ha ancora istituito il reddito minimo garantito, introdotto anche in Grecia alla fine dello scorso anno e, nonostante le proposte di legge presentate, resta sola ed inadempiente con grave e concreto rischio di subire l’ennesima procedura di infrazione.
Ma l’Europa – nel frattempo – va ben oltre e con l’ultima risoluzione del Parlamento europeo del 21.10.2010 n. 2039 considera prioritaria la lotta alle diseguaglianze sociali in particolare economiche e considera fondamentale il reddito minimo incondizionato (Ubi unconditional basic income) – ovvero quel reddito che prescinde dalla condizione del lavoro, ed invita i paesi che ne sono privi ad introdurlo per perseguire fini di coesione, solidarietà sociale e pace; “per sottrarre ogni bambino, adulto e anziano alla povertà e garantire loro il diritto a una vita dignitosa” .
I dati presentati alla Commissione Lavoro al Senato dal network che vuole istituire il reddito minimo incondizionato sono desolanti: 10 milioni di italiani in condizione di povertà relativa, 20 milioni a rischio di esclusione sociale, il tasso di disoccupazione al 13% con punte al 50% tra i giovani, 3 milioni a rischio di inattività.
La marcia Perugia-Assisi del M5s ha richiamato ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mezzi di informazione su questo fondamentale diritto, oggetto di specifica proposta legislativa. Adesso ci aspettiamo che il governo non perda un’altra occasione e provveda, attraverso la riforma dei servizi all’impiego, a rendere “effettivo” il diritto al lavoro, dando piena attuazione dell’art. 4 della Costituzione, e comunque assicurando, con l’introduzione del reddito minimo garantito e del reddito incondizionato il diritto a ciascuno di esistere.
*Avvocato giuslavorista, attenta al diritto euro-unitario ed alla giurisprudenza delle Alte Corti, non trascuro la difesa nelle connesse materie di diritto penale. Dedico il mio impegno, negli organismi e nelle associazioni dell’avvocatura ed in altre non profit, per le azioni di genere e per la formazione e l’occupazione dei giovani e, più in generale, per la tutela dei diritti fondamentali. Nell’ultimo anno ho affrontato il tema dell’immigrazione con la Scuola Superiore dell’Avvocatura partecipando, quale componente senior, al gruppo di studio sul Progetto Lampedusa. La mia terra di nascita è la Calabria, la Sicilia quella di adozione. Vivo e lavoro a Messina ma adoro viaggiare.