Il pendolo sì/no del premier Netanyahu per uno Stato palestinese, questa settimana propende per il sì. Il primo ministro israeliano, con il suo nuovissimo governo (il suo quarto in meno di vent’anni), ha rassicurato il ministro Mogherini che lui è un uomo di pace, interessato alla soluzione di “due Stati per due popoli”, quello israeliano e quello palestinese.
Nella vita politica le parole sono importanti, non perché vengano sempre rispettate, o scelte con cura, o in quanto premessa a un’azione coerente con le dichiarazioni verbali. Le parole in politica sono spesso vuote, false descrizioni della realtà, attacchi scontati contro rivali politici e altre cose ancora, spesso poco edificanti. Il nuovo governo di Netanyahu non giudica il processo di pace il traguardo più importante della sua esistenza politica. La scelta dei ministri va rigorosamente nella direzione opposta. Scegliendo come ministro della Giustizia, ad esempio, la deputata Shaked del partito di Bennett, che anche di recente si è espressa contro ogni compromesso con i nostri vicini palestinesi. La giovane 39enne, priva di ogni esperienza ministeriale, ha anzi dichiarato che è arrivata l’ora di mitigare o minimizzare l’influenza della Corte Suprema israeliana sulle decisioni politiche del governo.
In uno Stato senza Costituzione questo desiderio può avere conseguenze politiche non di poco conto, specialmente se si prende sul serio la dichiarazione del ministro Ayelet Shaked, che per lei annettere i territori occupati allo Stato di Israele è una priorità politica del governo.
Nel Ministero della Difesa troviamo invece un vice ministro ortodosso, che rappresenta elettori che non hanno fatto nella loro vita mai nemmeno una settimana di servizio militare. Egli, proprio in questi giorni, si è rivelato poco informato sul suo ministero. Bugi Yaalon, noto falco e ora ministro della Difesa, ha avuto l’idea di separare i bus – per i palestinesi e per gli ebrei – che viaggiano nei Territori Occupati. La proposta, che avrebbe dovuto essere attuata in questi giorni, è già stata ritirata in seguito alle critiche espresse sia dalla stampa, sia dall’opposizione e nondimeno anche dai pochi amici che Israele ha nella comunità internazionale.
Come spesso succede nella vita politica, si possono comprendere le intenzioni di un leader anche esaminando elementi che a prima vista sembrano di poco conto. Il primo ministro Netanyahu, che è anche il reggente ministro delle Comunicazioni, ha operato in questo ministero di relativa importanza a velocità supersonica. Con una telefonata ha licenziato il direttore generale del Ministero e ha proposto come sostituto il candidato Shlomo Filber. Costui, che nel lontano (ma non troppo) 1995 ha pubblicato un articolo in cui sosteneva che dietro l’assassinio del primo ministro Rabin c’era un piano complottista che coinvolgeva lo Shabak, i servizi segreti interni di Israele.
Il campo della comunicazione, nel lavoro di ogni governo israeliano, è una cosa fondamentale, dal momento che lo Stato ebraico non gode di buona stampa. È ovvio che mettere come direttore generale di un ministero del genere una persona che ha una teoria negazionista sull’assassinio politico più importante della storia israeliana non dimostra grande sensibilità mediatica, e nemmeno politica.
Questo articolo del giovane Filber è stato pubblicato nel mensile del movimento dei coloni, che alcuni mesi dopo l’assassinio si affrettava a produrre una teoria negazionista di un fatto storico facilmente verificabile. Suppongo che il premier israeliano, prima di proporre a Filber il prestigioso ruolo, abbia letto il suo curriculum e l’abbia trovato degno di questa carica, nonostante l’infelice precedente di un giornalista per caso.
Un governo che ha come ministri chiave politici come Bennett, Shaked, Yaalon è una risicata maggioranza di 61 deputati non è un governo che farà nascere un processo di pace e uno Stato palestinese. Netanyahu potrà sempre dire c”io volevo, ma i miei alleati me lo hanno impedito”.