“Civita di Bagnoregio è di per sé un simbolo: sito di fondazione etrusca, poi colonia romana, patria di San Bonaventura… questo luogo è capace di riassumere parte importante dell’evoluzione civile, culturale e religiosa dell’Occidente”. Una sintesi perfetta dell’essenza stessa della frazione di Bagnoregio. Ma non sono parole pronunciate in occasione della conclusione di qualche opera di consolidamento all’ “acropoli” fatta di tufo, sabbia e argilla. Quelle frasi sono parte della lettera inviata dal Ministro Franceschini alla presentazione dell’appello, lanciato dal Presidente della Regione Lazio Zingaretti alcuni giorni fa nella sede a Roma dell’Associazione Civita, per salvare il borgo e ottenere il riconoscimento Unesco. Il Presidente emerito Giorgio Napolitano il primo firmatario di un Sos al quale hanno risposto già in tanti. In attesa di altri due appuntamenti, il 19 giugno, la giornata dedicata alla bellezza “Salvare Civita di Bagnoregio e la Valle dei Calanchi”, e dal 10 al 12 luglio, il meeting internazionale di animazione “La città incantata”.
Il problema è che le frane stanno minando la stabilità di quel magnifico ambiente naturale, antropizzato dall’antichità. Anzi il rischio sempre più concreto è che la sua esistenza sia in pericolo. La circostanza che l’allarme di Regione e Mibact scatti ora, per certi versi, singolare. Naturalmente a creare qualche dubbio non è la decisione di interessarsi al tema, ma piuttosto le tempistiche. La storia di Civita, anche solo quella più recente, è costellata di “avvertimenti”. Di segnali inequivocabili della crescente fragilità del sito. Fragilità che l’Amministrazione di Bagnoregio, non potendo contrastare efficacemente per mancanza di adeguate risorse, ha cercato di documentare coinvolgendo istituti universitari di ricerca italiani. Nel 2011 l’Istituto di Architettura dell’Università di Venezia, che in un seminario di due settimane di lavoro al quale hanno partecipato tanti studenti, ha censito, analizzato e scansionato le diverse parti dell’abitato, fino ad ottenerne un modello tridimensionale digitale.
Nello stesso anno la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Brescia ha promosso un corso in loco intitolato “Ripensare le connessioni urbane di Civita di Bagnoregio”. Insomma il Comune ha fatto ampiamente la sua parte. Per quel che ha potuto. “L’ultimo crollo, che ci espone in modo particolare, ha riguardato l’unica strada di accesso al borgo. Chiudere quella strada significherebbe chiudere Civita al turismo, con danni gravissimi per l’indotto che crea. L’appello lanciato dal presidente Zingaretti credo potrà sensibilizzare il mondo che conta, chi fa le leggi e chi amministra il nostro territorio”. Lo ha detto Francesco Bigiotti, sindaco di Bagnoregio che, probabilmente in maniera inconsapevole, ha indicato quelli che sono mancati finora. “Chi fa le leggi e chi amministra il nostro territorio”. Insomma gli stessi che lanciano l’appello, almeno in parte. Limitatamente al tempo dal quale ricoprono i loro rispettivi ruoli. Perché finora non sono mancate adeguate risorse per fronteggiare l’emergenza.
Da ultimo i 2 milioni di euro stanziati dalla Regione Lazio nel luglio 2012 per drenaggi ed opere di consolidamento. Non sono neppure mancati i progetti su Civita. Anzi. Dal 1991 poi c’è anche un’associazione, Civita, nata da un’idea formulata nel 1987. Lo scopo dichiarato quello di recuperare il borgo quasi disabitato. Mission in realtà sempre più marginale. Insomma c’è stato tutto. Risorse, progetti ed addirittura un’associazione specifica. Perfino dei disegni di legge. Come i ddl n. 1992 del dicembre 2007 e n. 472 del maggio 2008, presentati dalla senatrice Pdl Laura Allegrini. Prima, nel novembre 2001, il ddl n. 864 presentato dal senatore An Michele Bonatesta. La circostanza che i risultati siano stati ben al di sotto delle attese appare tutt’altro che un trascurabile particolare.
Il dubbio che a mancare non sia stato un Progetto “su” Civita ma, piuttosto, “per” Civita. Una solida architettura che potesse creare una prospettiva. Accrescere l’attrattiva naturale del sito per potenziali investitori. Invece niente di tutto questo. Si lancia un appello. Come si fa, spesso, dopo un disastro. Ancora, si richiede il riconoscimento Unesco. A ragione. Perché Civita lo meriterebbe. Il borgo dai fragili calanchi, luogo d’arte visitato nell’ultimo anno da 450mila persone, utilizzato come location per riprese cinematografiche, da La strada di Fellini al Pinocchio di Sironi. Un riconoscimento che tuttavia non contribuirebbe di certo alla soluzione dei suoi problemi, come indiziano le criticità che continuano ad affliggere molti dei siti che già sono Patrimonio dell’umanità. Ad ogni frana, dopo ogni smottamento, si è gridato al pericolo. Azioni concrete, poche. Di certo, inadeguate. E ora non rimane che una raccolta firme. Lanciata da chi dovrebbe avere strumenti per proporre ben altro.