Nella città 5 stelle che da sempre si oppone (senza riuscirci) al forno, quella che nel decreto Sblocca Italia suonava come una minaccia, rischia di diventare a tutti gli effetti realtà. L'azienda ha dato il via alle pratiche per aprire le porte all'immondizia di altri comuni. L'amministrazione: "Ci opporremo"
In un futuro non molto lontano nell’inceneritore di Parma potrebbero essere bruciati rifiuti provenienti anche oltre i confini del territorio ducale. La multiutility Iren, che gestisce l’impianto di Ugozzolo, ha già avviato le pratiche per aprire le porte all’immondizia in arrivo da altre province. Così, nella città 5 stelle che da sempre si oppone (senza riuscirci) al forno, quella che nel decreto Sblocca Italia suonava come una minaccia, rischia di diventare a tutti gli effetti realtà. Come prevede la legge, la multiutility ha infatti chiesto l’autorizzazione a smaltire i rifiuti in arrivo da fuori provincia, in modo da far funzionare l’impianto a pieno regime. Il 20 maggio 2015 la società ha inviato a Comune, Provincia e Regione i documenti per avviare le procedure di Valutazione di impatto ambientale (Via) e di modifica di Autorizzazione integrata ambientale (Aia) del Polo ambientale integrato di Ugozzolo per classificare il “termovalorizzatore cogenerativo” come “impianto di recupero energetico R1”, in modo da superare i vincoli di bacino e arrivare alla saturazione del carico termico dello stesso impianto. In altre parole, Iren chiede di poter bruciare più spazzatura nell’inceneritore di Ugozzolo, che ora è autorizzato soltanto a ricevere il residuo del parmense. L’articolo 35 della legge 164/2014 però, prevede che negli impianti esistenti il processo di trattamento termico garantisca un’efficienza tale da poterli classificare come impianti di recupero energetico R1 e anche che essi funzionino a pieno regime. Cosa che ora non avviene a Parma, dove il limite massimo consentito (e mai raggiunto) di smaltimento è di 130mila tonnellate di rifiuti all’anno.
Secondo uno studio di impatto ambientale realizzato da Oikos Progetti di Milano per conto di Iren e presentato tra i documenti per la richiesta di autorizzazione, nel 2014 nel forno, acceso a fine agosto 2013 e non ancora in fase di piena funzionalità, sono state immesse 120.900 tonnellate di rifiuti. Entro il 2020 la quantità potrebbe essere aumentata quasi della metà rispetto ai limiti consentiti attualmente, arrivando fino a 195mila tonnellate. Secondo lo studio però, sul fronte dell’inquinamento atmosferico l’impatto non sarebbe negativo perché le modifiche non interesseranno la struttura dell’impianto, ma soltanto quantità e qualità del residuo conferito. Quindi “dal punto di vista delle emissioni in atmosfera il funzionamento previsto al 2020 risulterà invariante rispetto alla situazione attuale”. Le uniche conseguenze negative saranno a livello di traffico, stimato con un incremento di 16 mezzi al giorno per il trasporto dei rifiuti al Polo ambientale, ma per quanto riguarda l’impatto su atmosfera, risorse idriche suolo e sottosuolo, le condizioni secondo Oikos rimarrebbero invariate rispetto a quanto già autorizzato.
La mossa di Iren mette di nuovo con le spalle al muro la giunta del sindaco Federico Pizzarotti. Dopo la prima grande sconfitta subita con l’accensione dell’inceneritore, l’amministrazione Cinque stelle ha puntato tutto sulla raccolta differenziata, arrivata al 70 per cento, proprio con l’obiettivo di “affamare” il forno ed avviarlo alla dismissione. Se i rifiuti potranno arrivare anche da fuori provincia però, anche questo sforzo sarà vano. Il Comune ha già annunciato che si opporrà all’istanza di Iren. “Come previsto, grazie alle leggi nazionali ed ai piani regionali voluti dal Pd – ha commentato su Facebook l’assessore all’Ambiente Gabriele Folli – si vogliono cambiare le carte in tavola venendo in soccorso ad un impianto privato che già a due anni dalla partenza vede calare le previsioni di produzione rifiuti per la Provincia di Parma, ambito per cui è stato progettato. Ai cittadini fu detto che l’impianto era necessario per abbassare i costi ed anche questa è stata una promessa non mantenuta. Ora si vuole ricattare il territorio agitando lo spauracchio dell’incremento dei costi di smaltimento, se l’impianto funzionerà a basso regime, tacendo sul fatto che i costi comunque resteranno più alti del previsto a dimostrazione della scelta strategica completamente sbagliata fatta allora”.