Nel 2011 la giunta Burlando, per coprire il disavanzo della sanità, ha deciso di dismettere ex ospedali e ville. Compratore designato l'azienda pubblica Arte Genova, che per pagare il conto si è indebitata per 106 milioni nei confronti di Carige. Ma per la Corte dei Conti il passaggio di mano non è stato una vera vendita: il buco della Regione è identico a prima. In compenso Arte non ha più i soldi per la manutenzione degli appartamenti
Una partita di giro per coprire parte del disavanzo sanitario della Regione Liguria vendendo immobili pubblici a una partecipata. Con due aggravanti: la società acquirente è quella responsabile della gestione delle case popolari e per portare a termine l’operazione ha dovuto indebitarsi per oltre 100 milioni di euro. E ora non riesce a far fronte alla manutenzione degli appartamenti e per fare cassa ne ha messi sul mercato oltre un centinaio. Per di più l’operazione avviata nel 2011 dalla giunta di Claudio Burlando non ha centrato l’obiettivo. Perché la Corte dei Conti ha sentenziato che il passaggio di mano di ospedali e altri immobili dalle Asl a Arte Genova (l’ex istituto autonomo case popolari) non è stato una vera vendita. Di conseguenza “il disavanzo che si intendeva risanare sussiste ancora” e anzi “tende ad accrescersi” a causa degli interessi passivi sul prestito. Anche il ministero dell’Economia, nella relazione sul bilancio regionale, ha espresso dubbi su un’operazione che ha “permesso all’azienda di surrogare il debito verso la regione in un debito verso il sistema bancario con l’accollo degli oneri conseguenti all’indebitamento”.
Il piano di Burlando per sanare i 143,8 milioni di rosso della sanità – Il caso, inevitabilmente finito al centro delle polemiche in vista delle elezioni del 31 maggio, ha origine con la legge finanziaria regionale varata la vigilia di Natale del 2010. All’articolo 22 la giunta in cui siede anche la candidata presidente del Pd Raffaella Paita ha infatti previsto un ampio piano di dismissioni immobiliari con l’obiettivo dichiarato di trovare soldi freschi per nuovi investimenti ma soprattutto “ripianare disavanzi”. In particolare quello sanitario, che era a quota 143,8 milioni di euro e a causa del quale la regione dal 2007 era sottoposta a un piano di rientro concordato con il ministero della Salute. Di lì l’idea di cedere il patrimonio delle aziende sanitarie: dall’ottocentesco ex ospedale psichiatrico di Quarto, 18mila metri quadri di edificio nel quartiere residenziale del levante cittadino, all’ex ospedale Martinez di Pegli, dall’Arpe di Santa Margherita Ligure all’ex colonia Olivetti di Marinella di Sarzana, fino alla villa liberty Zanelli di Savona.
Per pagare il conto chiesto un prestito a Carige – La stessa legge ha però designato anche il compratore. Non investitori privati, che difficilmente avrebbero sborsato i prezzi (27 milioni per i padiglioni dell’ex ospedale di Quarto, quasi 5 milioni per la colonia Olivetti) frutto della valutazione fatta dalla finanziaria regionale Filse, bensì l’Azienda regionale territoriale per l’edilizia (Arte) di Genova. Che in seguito avrebbe dovuto tentare di piazzare gli immobili sul mercato. Arte, per pagare il conto, ha chiesto a Banca Carige un prestito di 106 milioni di euro, su cui maturano ogni anno interessi passivi e oneri finanziari per oltre 3 milioni. A quel punto la Regione ha incassato i crediti vantati dalle Asl verso Arte, azzerando così – sulla carta – i loro debiti. Ma nel frattempo, come previsto dalla stessa legge 22/2010, ha anche concesso alla controllata una “anticipazione di cassa” pari all’80% del prezzo pagato.
La partita di giro che non tappa il buco – Il Procuratore regionale della Corte dei Conti Ermete Bogetti, nella requisitoria sul rendiconto generale della Regione, ha sottolineato che quell’anticipazione di fatto rappresenta “gran parte della provvista finanziaria per pagare alla stessa Regione il prezzo degli immobili e la prevista plusvalenza”. E “offre a Carige una sorta di garanzia per il capitale messo a disposizione di Arte, che si aggiunge a quella delle ipoteche sugli immobili dell’ente strumentale”. In più, “gli enti venditori si erano obbligati a garantire direttamente da vizi ed evizione i futuri acquirenti dei beni”. Acquirenti che però non si sono trovati: l’asta di vendita del luglio 2014 è andata deserta. È la descrizione di una perfetta partita di giro. Di fronte alla quale non stupisce leggere che “tale operazione non può qualificarsi come una vendita di immobili, ma, al più, una ‘cartolarizzazione‘”. Ecco perché, è il verdetto della Corte, “il ‘ricavato’, pari a 103,37 milioni di euro, deve essere iscritto al passivo del conto del patrimonio”. Cioè si torna alla casella di partenza e il disavanzo nascosto sotto il tappeto rispunta identico a prima.