Palazzo Chigi è a caccia del patrimonio immobiliare degli ex Ds. A rivelarlo, rispondendo a un’interpellanza del MoVimento 5 Stelle sull’Unità rivolta al presidente del Consiglio, al ministro dell’Economia e a quello di Giustizia, è stato il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova. La presidenza del Consiglio, “con l’ausilio dell’Avvocatura generale dello Stato e il supporto dell’Agenzia delle entrate, è impegnata ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare facente capo ai Ds”. Questo “anche al fine di valutare se sia ancora possibile esercitare, in via cautelativa, azioni revocatorie di tale patrimonio immobiliare nell’interesse dell’amministrazione, a conservazione dell’azione di regresso”. In pratica, il governo guidato dal leader del Pd Matteo Renzi vuol verificare se ci sia la possibilità di riprendersi, almeno in parte, il “tesoro” ereditato dal Pci che nel 2007 l’allora tesoriere Ds Ugo Sposetti, oggi senatore Pd, ha provveduto a blindare in 57 fondazioni locali.
La partita non è nuova, perché già lo scorso anno si era parlato di un progetto di accorpamento delle fondazioni in un unico ente che mettesse poi a disposizione del Pd una parte degli immobili per consentire al partito, con quella garanzia, di accedere con più facilità al credito. A riportare la questione alla ribalta è stata, appunto, la partita del salvataggio dell’Unità dopo la liquidazione di Nuova iniziativa editoriale. Durante la trasmissione Report di domenica scorsa, infatti, Sposetti ha rivendicato – “Se m’avessero dato un incarico, una società, mi avrebbero dato tanti soldi per fare questo lavoro” – che grazie a quella operazione il patrimonio del partito confluito nel Pd non è in alcun modo aggredibile. Risultato: in virtù di una leggina varata nel 1998 dal governo Prodi che ha introdotto la garanzia statale sui debiti dei giornali di partito, le banche creditrici del quotidiano fondato da Antonio Gramsci possono bussare alle porte del governo.
E così hanno fatto: stando a quanto rivelato dalla trasmissione di Rai Tre, gli istituti di credito hanno ottenuto dal Tribunale di Roma l’emissione di decreti ingiuntivi contro la presidenza del Consiglio per un totale di 95 milioni. Decreti contro cui Palazzo Chigi ha fatto opposizione perché mancherebbero “la dimostrazione da un lato dell’effettiva situazione patrimoniale del debitore e dall’altro dell’adeguata diligenza impiegata dalle banche nel tentativo di recuperare il credito vantato nei confronti del debitore principale”. Il sottosegretario ha spiegato infatti che secondo un parere dell’Avvocatura “l’escussione della garanzia dello Stato da parte delle banche è subordinata alla previa dimostrazione di quale sia (e sia stata nel periodo dal 1999 all’attualità) la situazione patrimoniale complessiva dei debitori e delle iniziative di cui le banche si siano fatte promotrici per aggredire il patrimonio dei debitori e cercare di ottenere il soddisfacimento dell’ingente credito vantato”.
Nel frattempo la presidenza del Consiglio sta appunto tentando di verificare da quali proprietà dei Ds “le banche avrebbero potuto recuperare, in tutto o in parte, i loro crediti, eventualmente anche previa revocazione di atti a titolo gratuito pregiudizievoli per i creditori”. “Atti a titolo gratuito” che consistono ovviamente nell’alienazione degli immobili alle fondazioni, orchestrata da Sposetti.
Se poi le richieste degli istituti di credito fossero accolte, Palazzo Chigi è pronto a chiamare in giudizio quel che resta dei Ds. Ovvero una associazione non riconosciuta. L’Avvocatura ha già chiesto l’autorizzazione ha spiegato Della Vedova, “perché, nel caso di accoglimento della pretesa azionata dagli istituti di credito, venga contestualmente accertato il diritto di regresso dell’Amministrazione nei suoi confronti”. E “il giudice ha effettivamente autorizzato la chiamata in causa dei Ds”.