Un blocchetto di accensione difettoso e un airbag che esplode fuori tempo sono all’origine di una serie di richiami di proporzioni gigantesche, i più vasti della storia dell’industria dell’auto. Ma mentre la situazione in GM si sta normalizzando, l’azienda giapponese (che rifornisce i maggiori costruttori mondiali) è in piena crisi
Mentre in Italia si discute dell’omicidio stradale, negli Stati Uniti sono le automobili stesse a essere nell’occhio del ciclone. I numeri dei due scandali più grossi nella storia dell’industria dell’auto, infatti, continuano a salire. Se General Motors ha appena risarcito la vittima numero 104, causata dal famigerato blocchetto d’accensione difettoso, un altro big dell’auto, la giapponese Takata Corporation ha ufficializzato che gli airbag difettosi montati su auto circolanti negli Usa e da sostituire sono 33,8 milioni, praticamente il 13% di tutte le vetture e i light truck che si trovano negli Stati Uniti. La vicenda di GM sta volgendo al termine, portandosi dietro uno strascico di costi – la famiglia di ogni vittima viene ripagata con 1 milione di dollari, le richieste sono 500, più i feriti – e di procedure, visto che almeno fino al 2017 ogni mese ci sarà un summit con gli ispettori dell’ente che vigila sulla sicurezza stradale, il famigerato NHTSA, per valutare l’efficacia delle nuove procedure. Quella di Takata, invece, è in pieno svolgimento.
Secondo quanto scoperto dal Detroit News i veicoli in cui il gas propellente (quello che gonfia gli airbag dopo l’attivazione della carica esplosiva) si deteriora sono oltre 30 milioni. Sebbene finora i morti accertati siano solamente 6, le conseguenze di una attivazione non richiesta del “cuscino salvavita” potrebbero ribaltare completamente la sua funzione, portando a una perdita di controllo letale. Così, dopo le pressioni dell’NHTSA – Takata si rifiutava di ammettere completamente il problema – 10 case automobilistiche dovranno praticamente raddoppiare le proprie campagne di richiamo. BMW, Chrysler, Ford, General Motors, Honda, Mazda, Mitsubishi, Nissan, Subaru e Toyota, a cui si aggiunge Mercedes con 500 camion, dovranno impegnarsi per i prossimi anni e sostituire tutti i componenti difettosi. Il problema più grande è proprio il tempo, visto che i kit per rimpiazzare il vecchio dispositivo vanno prodotti ex-novo.
Così Takata ha aumentato la produzione passando dai 350.000 pezzi al mese di dicembre 2014 ai 450.000 dello scorso mese di marzo, con l’obiettivo di arrivare a 900.000 unità al mese per il prossimo settembre. Ma è comunque troppo poco e ci vorranno mesi solo per informare tutti i proprietari. Chi è messo peggio è la Honda che, essendo stata a lungo il cliente più importante di Takata e possedendone una quota azionaria, paga lo scotto su più fronti. Oltre ad avere più di 13 milioni di auto coinvolte nei richiami (pure i sei morti sono suoi), subisce anche una perdita di valore delle proprie azioni, dato lo stato di crisi in cui versa il fornitore giapponese. Considerato l’alto numero di nuovi componenti necessari per il richiamo, la Honda ha firmato un contratto con Autoliv e si è rivolta a Daicel, due dei principali concorrenti Takata. Daicel, peraltro, ha annunciato la costruzione di un nuovo stabilimento negli Stati Uniti, operativo dal marzo 2016, proprio per far fronte alle richieste provenienti dalle Case auto coinvolte nel richiamo.