Lo scrittore autore di Necropoli, sloveno ma di nazionalità italiana, racconta la sua vita: dal periodo di stenti come deportato nel lager a tutto ciò di cui la civiltà del XXI secolo non ha voluto tenere conto
Boris Pahor, nato a Trieste il 26 agosto 1913, arriva a bordo di un’utilitaria. Lo scrittore autore di Necropoli scende e affronta la duplice rampa di scale che porta al suo studio a Prosecco (la frazione che ha dato il nome al vino) senza tentennamenti. Ci mette un po’ ad aprire la porta che introduce al suo mondo fatto di libri, fotografie, riconoscimenti, sculture e ricordi. Sloveno di nazionalità italiana inizia il racconto di quello che chiama il secolo “orrido”. Vivace, intelligente e straordinariamente lucido, regala ricordi e aneddoti di una vita lunga e intensa: dal periodo di stenti come deportato nel lager a tutto ciò di cui la civiltà del XXI secolo non ha voluto tenere conto.
Cosa ricorda della Grande Guerra?
I cannoni che si sentivano ovunque. Trieste era disgraziata, non si riusciva a trovare da mangiare. Ricordo l’epidemia di “spagnola” che fece strage fra la popolazione. Io, mia mamma e le mie due sorelline fummo contagiati. Una delle due, Maria di soli 4 anni, ne fu vittima. La vegliammo nel nostro letto, fino al rientro di nostro padre dal lavoro. Era militare a Pola, allora Italia (oggi Croazia ndr) e non fu facile rientrare a Trieste anche se non era un lungo viaggio. Ricordo come fosse ora il suo dolore quando la vide. Era la sua preferita, la chiamava “Mimiza”.
Che immagini le sono rimaste del conflitto?
I colpi di cannone. La guerra la si sentiva nei muri: non proprio un rombo ma piuttosto un’eco. Una carneficina tremenda se si considerano le undici offensive delle truppe italiane contro la montagna. L’Italia fece l’errore di entrare in guerra per di conquistare il territorio sloveno e spingersi nel cuore dell’ Europa. Una strategia che allora non pagò. Solo molti anni più tardi nel 1941 le truppe italiane, alleate dei tedeschi, riuscirono ad arrivare a Lubiana.
Come definisce il Novecento?
Un secolo del male, orrido. L’umanità, e in particolare i popoli europei, ha sopportato la tragedia di due guerre mondiali. La civiltà del XXI secolo è schifosa, senza memoria, continua a comportarsi in spregio all’etica politica e sociale. II dolore dei bombardamenti, la fame, la negazione dell’uomo nei campi di concentramento: sembra che tutto ciò non sia servito a nulla, tutto rimosso. Oggi, proprio ai vertici dello Stato in Italia, ma anche all’estero, si scassina e si ladroneggia senza alcun riguardo per il bene comune.
Come giudica Matteo Renzi?
È stato molto abile ad andare verso il centro senza pagare di proprio. Ha messo a rischio l’unità del suo partito e continua a farlo, ma di sicuro si muove con capacità e determinazione. Speriamo che non abbia però tendenze politiche univoche…
Papa Francesco?
Mi piace moltissimo anche se è in una posizione disgraziata. Come può pensare di cambiare la chiesa? Si continuano a vedere tutti gli aggeggi dei porporati, paramenti e simboli che ricordano la Chiesa del lusso, non quella dei poveri. Sono tutte posizioni di una casta che difficilmente potrà essere indebolita.
Come trascorre il tempo?
Oggi non mi ritrovo più nelle mie giornate. Fino a poco tempo fa ero abituato a lunghe passeggiate sulle montagne. Quando rientravo iniziavo a scrivere. Adesso continuo ad alzarmi presto, mi preparo la colazione e sono pronto per affrontare la giornata. Quello che è cambiato e che ora non riesco ad essere sempre fedele alla macchina da scrivere. Ho appena finito, in sloveno, un diario di 180 pagine dell’anno passato. Di fatto mi sento disoccupato.
Viaggia ancora molto però…
Non direi, quest’anno solo cinque viaggi.
Scusi professore ma lei ha 101 anni…
Anche questo è vero… (sorride). Vede però, per me spostarmi da Trieste a Prosecco richiede la stessa energia che partire per Parigi. Anzi, se viaggio in aereo, mi accompagnano in macchina e anche la mia borsa mi viene riconsegnata a destinazione. Non è dunque faticoso per me viaggiare. Io mi sposto solo per motivi culturali, non vado per sport o per piacere da nessuna parte.
da Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2015