Un fantasma si aggira per l’Italia. E a evocarlo, con spericolata baldanza, sono politici e tecnici. “In questi tempi di crisi, anche la vecchia separazione tra i poteri è diventata un lusso”, scrive nel consueto bello stile il costituzionalista Michele Ainis sulle pagine del Corriere della Sera. “Serve maggior sensibilità politica nel potere giudiziario, serve maggior sensibilità giuridica nel potere politico”, ragiona Ainis che in due righe scodella pure la soluzione: “Servono canali di comunicazione, strutture di collegamento”.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, lo ascolta e prende la palla al balzo. Dice che la Consulta, quando ha bocciato la legge Fornero che bloccava l’indicizzazione delle pensioni, “non ha valutato il buco creato”. E si dichiara “perplesso” perché i giudici sostengono “di non dover fare analisi economiche sulla conseguenza dei loro provvedimenti”. Ma per Padoan bisogna essere ottimisti. Il futuro è radioso. La via per far meglio c’è. E sta tutta nel solco tracciato dall’aratro di Ainis: sta nel “dialogo tra organi dello Stato indipendenti”, sta nella “condivisione” delle informazioni sui conti dello Stato con la “Corte”. Poi, dopo l’aratro di Ainis, a difendere il solco interviene la spada del premier Matteo Renzi che con ragionevolezza (solo apparente) afferma: “La Corte ha fatto una sentenza, noi l’abbiamo rispettata, ora si tratta di lavorare insieme perché i segnali di ripresa che ci sono possano irrobustirsi e consolidarsi”.
Purtroppo però, a Costituzione vigente, la Consulta non deve lavorare assieme a nessuno. I giudici stanno lì esclusivamente per controllare il rispetto della Carta. Devono verificare cosa fa la politica che pure, in parte, li nomina. “Strutture di collegamento” o “canali di comunicazione” non sono ammessi. Ovviamente gli ermellini non devono mettere i bastoni tra le ruote al governo o al Parlamento per partito preso, ma nemmeno possono basare le loro decisioni sulla base delle convenienze dell’esecutivo pro-tempore. A meno che non si decida di dire che aveva ragione Silvio Berlusconi quando, da primo ministro, attaccava la Consulta accusandola di remare contro perché composta da “giudici di sinistra”. O, peggio ancora, quando, anticipando coi fatti le tesi di Ainis, il leader del centrodestra partecipava, nel maggio del 2009, qualche settimana prima dell’udienza sul Lodo Alfano (la legge che sospendeva i processi nei suoi confronti), a una cena nell’abitazione privata dell’allora giudice della Corte, Luigi Mazzella, che per l’occasione aveva invitato pure un collega.
Allora la cosa aveva suscitato scandalo. Un po’ tutti avevano evocato Alexis de Tocqueville e il suo ‘La democrazia in America’, i principi della democrazia liberale e il diritto di tutti i cittadini di essere uguali davanti alla legge. Concetti evidentemente caduti in disuso.
Oggi, invece, il dibattito sulla separazione dei poteri è aperto. Dimenticando che proprio la sentenza che ha sventato la rapina sulle pensioni lascia al legislatore la possibilità di battere molte altre strade. Se, per esempio, la pensione è “retribuzione differita” c’è da chiedersi, come fa da tempo il presidente dell’Inps Tito Boeri, se sia giusto trattare alla stessa maniera chi riceve una pensione in base ai contributi effettivamente versati e chi, invece, se la intasca in base alla media delle retribuzioni ricevute negli ultimi anni di lavoro. Perché, in fondo, per non farsi cassare le leggi e risparmiare non servono “canali di collegamento”. Bastano un po’ di preparazione e di buon senso.
Il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2015