Slovene, serbe, montenegrine, bosniache, macedoni, kossovare: donne di ogni parte della ex Jugoslavia si sono ritrovate il 7 maggio scorso, per tre giorni a Sarajevo, e non per un, (pur importante), ordinario incontro femminista.
L’occasione, snobbata dalla stampa internazionale ma molto comunicata attraverso i canali alternativi dei social network, è stata quella del Tribunale delle Donne sui crimini di guerra negli anni ’90 nei paese dell’area balcanica.

Dove sta la notizia? Nel fatto che molti dei paesi di provenienza delle donne presenti sono stati, e sono ancora, immersi nel clima di tensione causata dagli scontri etnici e a sfondo religioso che provocarono massacri e crimini efferati, come per esempio la declinazione della ‘pulizia etnica’ attraverso gli stupri di massa perpetrati dai vincitori sulle donne della parte perdente.

Anche se le organizzazione internazionali hanno incluso lo stupro in guerra nel novero dei reati più gravi non sempre è facile dimostrare questi crimini ed è frequente che le vittime debbano fronteggiare il muro di omertà e isolamento sociale dentro e fuori le comunità di appartenenza, come bene racconta Karima Guenivet nel libro ‘Stupri di guerra’.

La scommessa del Tribunale delle Donne è prima di tutto questa: dimostrare che esistono soggetti capaci di resistere e di opporsi alla piaga della rinascita dei nazionalismi che vogliono dividere la popolazione secondo criteri etnici e religiosi, che lavorano per rendere le nazioni omogenee escludendo minoranze e diversità, separando e mortificando la cittadinanza universale con la costruzione di ‘comunità’ tra loro antagoniste.
Come scrive nel suo report Marieme Helie Lucas, attivista e studiosa fondatrice della rete Wluml (Women living under muslim laws) e del sito Siawi (Secularism is a women issue) la variegata composizione del comitato organizzativo dice molto dell’unità e solidarietà delle donne, nonostante le divisioni nazionali derivate dalla frammentazione del paese.

Dalla Bosnia Erzegovina hanno partecipato le Madri delle Enclaves di Srebrenica e Zepa e la Fondazione CURE, il Forum delle Donne dalla Croazia, il Centro Studi delle Donne e il Centro delle donne vittime della guerra – ROSA dal Montenegro, Anima dal Kossovo, il Women’s Network e il Consiglio Nazionale per la parità di genere dalla Macedonia, dalla Slovenia il Women’s Lobby Slovenia e dalla Serbia il Women’s Studies e le Donne in Nero.

Questa partecipazione è già un enorme successo, e arriva dopo ben cinque anni di lavoro, di raccolta e approfondimento delle denunce delle violenze da parte dell’organizzazione che ha fortemente voluto l’evento: le Donne in Nero di Belgrado, un’associazione del paese ‘aggressore’. Le DIN sono benvolute in tutta la ex-Yugoslavia per il costante supporto, anche a rischio della propria sicurezza, alle donne di altre identità nazionali ed etniche, sia durante che dopo le guerre.

Il fatto che le donne siano arrivate da tutte le nazioni della ex-Yugoslavia non è solo la dimostrazione potente di solidarietà attraverso i confini: è anche una presa di posizione politica di resistenza rispetto alle forze distruttive dell’estrema destra al lavoro nella regione e in tutta Europa.

Il Tribunale delle Donne della ex-Yugoslavia è assai diverso da qualunque altro tribunale finora esistito. La sua preparazione è durata cinque anni, durante i quali è stata fatta un’ impressionante mole di lavoro di base, con lo scopo di restituire la titolarità del processo alle vittime e alle sopravvissute. Centinaia di riunioni sono state fatte in città, paesi e villaggi con gruppi di vittime, affinché potessero dare forma e fare proprio il percorso. I report mensili a cura delle DIN di Belgrado, disponibili al loro sito, mostrano i passi di questo percorso. Si è evitato di importare un modello pre-determinato, imponendolo alle vittime e alle sopravvissute della ex-Yugoslavia, rispettando, valorizzando e rafforzando vittime e sopravvissute.

Solo negli ultimi due anni il comitato organizzativo ha prodotto 11 seminari regionali, 102 presentazioni pubbliche in 83 città nella regione, 25 documentari sul tema, 15 incontri del Comitato Organizzativo, 10 pubblicazioni in tutte le lingue della regione (Albania, BCMS, Macedonia e Slovenia).

Il tribunale delle Donne ha affrontato le violenze durante gli anni ’90, così come quelle commesse dopo le guerre: durante il lavoro preparatorio si è dimostrata la continuità delle violenze e le ingiustizie nel periodo di guerra e in quello post bellico. Ha trattato le violenze fondate sull’etnia, perpetrate dallo Stato e nella società, la violenza militarista nella guerra contro i civili.

Il Tribunale delle Donne ha analizzato in particolare la violenza di genere: lo stupro come crimine di guerra per scopi nazionalistici, la violenza maschile e la repressione politica contro le donne attiviste per i diritti umani. Il sottotitolo del Tribunale delle Donne, ‘un approccio femminista alla giustizia’, è la chiave per capire che in questo tribunale non si pronunciano né verdetti, né sentenze. Vengono nominati i crimini e gli esecutori, sono denunciati i legami tra le diverse forme di violenza che le donne soffrono oggi nella ex Jugoslavia, viene chiesta giustizia e, nel nome della solidarietà femminile internazionale, si assume l’impegno a monitorare le risposte delle autorità competenti. Sono state invitate attiviste da diversi paesi nei quali si sono verificati crimini simili: da Algeria e Argentina (Madri di Plaza di Mayo), e da India, Palestina e Congo.

Aperto il 7 maggio con una grande marcia attraverso Sarajevo e con spettacoli di strada il Tribunale delle Donne ha chiuso il 10 maggio: è il primo del suo genere al mondo.

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