Il 21 maggio, il Tribunale di Roma ha condannato il giudice Vittorio Metta e l'avvocato Giovanni Acampora a chiudere i conti della "più grande corruzione della storia italiana". Ma i due, nonostante abbiano ricevuto tangenti per oltre mille miliardi di vecchie lire, risultano insolventi
Per corrotti e corruttori della vicenda Imi-Sir paga lo Stato: la Presidenza del Consiglio dei ministri deve versare 173 milioni di euro a Intesa Sanpaolo. A scrivere l’ultimo capitolo della “più grande corruzione della storia italiana”, iniziata nel 1994 e proseguita al fianco del procedimento gemello Lodo Mondadori, è la seconda sezione civile del Tribunale di Roma che giovedì ha condannato Vittorio Metta e Giovanni Acampora in solido con lo Stato a rifondere i danni a Intesa. Ma i due, nonostante abbiano ricevuto tangenti per oltre mille miliardi di vecchie lire, risultano insolvibili.
La vicenda inizia nel 1990. La Sir del petroliere andreottiano Nino Rovelli, dopo il fallimento, fa causa a banca Imi accusandola di non aver concesso i crediti che l’avrebbero salvata. In realtà, come è stato poi più volte accertato, Sir era un baraccone clientelare. Eppure in quel 1994 il Tribunale di Roma condannò Imi a pagare e anche allora, visto che l’istituto di credito era pubblico, i soldi li mise lo Stato: 1.000 miliardi di lire che la famiglia del petroliere, ritengono i magistrati che più volte lo hanno inutilmente cercato, prontamente portò all’estero.
Nel 1992, Ilda Boccassini e Gherardo Colombo sospettano che alcuni giudici romani abbiano venduto le proprie sentenze. E tra questi c’è Vittorio Metta, quello che diede ragione ai Rovelli. Le “toghe sporche”, corrotte dagli avvocati Giovanni Acampora, Attilio Pacifico e Cesare Previti. Corruttori per conto dei loro clienti: Rovelli nel caso Imi-Sir e Silvio Berlusconi per Sme e Lodo Mondadori.
Nel 2006 la Cassazione trasforma in fatto accertato la corruzione nella vicenda Imi: Previti, Pacifico e Acampora avevano versato a Metta almeno un miliardo di lire. Condannato per corruzione il giudice. Condannati i tre intermediari che per il loro lavoretto avevano ricevuto dai Rovelli una tangente all’estero di 67 miliardi di lire.
Nel frattempo la banca è stata acquisita da Intesa Sanpaolo e nel 2006, dopo la pronuncia della Cassazione chiede i danni, assistita dagli avvocati Angelo Benessia, Bruno Cavallone e Simone Orengo. Giovedì 21 maggio la sentenza.
Il danno complessivo riconosciuto ammonta a 570 milioni, ma gli altri condannati hanno preferito transare. Previti e Pacifico hanno versato ciascuno 114 milioni di euro, 160 gli eredi Rovelli. L’ex ministro della Difesa ha rateizzato quanto dovuto a Intesa solo dopo aver raggiunto con la banca un accordo nel 2008: Previti paga e l’istituto si impegna a non andare avanti nelle aule giudiziarie nei suoi confronti. L’ultimo assegno è arrivato a fine 2008: 17 milioni di euro partiti da una banca delle Bahamas e transitati in una finanziaria del Liechtenstein.
Dei 570 milioni iniziali (Intesa ne aveva chiesti il doppio) rimane un residuo di 173 milioni di euro a carico di Acampora e Metta. Anzi dello Stato. Questo perché, spiegano i giudici della II sezione Civile nelle 185 pagine di sentenza, Metta era un magistrato e la legge 117 del 1988 impone allo Stato di coprire, in caso di insolvenza del condannato, il risarcimento dei danni “cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”. Lo Stato è chiamato a intervenire anche per Acampora perché ha agito nel medesimo disegno corruttivo di Metta.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2015