Non migliorano le condizioni della manodopera migrante impegnata nella costruzione i stadi e infrastrutture, secondo l'ultimo report della ong. Nove i parametri considerati (dalle condizioni di vita alla sicurezza sul lavoro, all’impossibilità di denunciare le vessazioni): su 5 ci sono stati miglioramenti, altri 4 sono rimasti invariati. Mai mantenuta la promessa di sospendere la pratica che consente al datore di lavoro di requisire i documenti dei suoi lavoratori
“Hanno promesso poco, realizzato ancora di meno: il Qatar e le violazioni dei diritti dei lavoratori migranti”. Così titola il nuovo report 2015 di Amnesty International sulle continue violazioni dei diritti umani della manodopera migrante impegnata nella costruzione degli stadi e delle infrastrutture per i Mondiali di Qatar 2022. Sono nove i parametri presi in considerazione per il report, che vanno dalle condizioni di vita alla sicurezza sul lavoro, dal sequestro dei documenti all’impossibilità di denunciare le vessazioni subite: su cinque di essi Amnesty ha ravvisato un miglioramento lieve ma non sufficiente, altri quattro sono rimasti invariati. Su tutto però resta la mai mantenuta promessa di sospendere la legge kafala: un sistema diffuso in tutta l’area e definito “neo-feudale”, che riduce il migrante a schiavo del suo datore di lavoro, che entra in possesso dei suoi documenti e quindi della sua vita.
“Il Qatar non sta rispettando i diritti dei lavoratori migranti. Un anno fa il governo si era impegnato a migliorarli ma di fatto non c’è stato alcun passo avanti – ha dichiarato Mustafa Qadri, ricercatore di Amnesty nei paesi del Golfo – senza un’immediata azione, le promesse fatte lo scorso anno rischiano di risultare un mero esercizio di pubbliche relazioni per tenersi stretti i Mondiali”. Amnesty stima in 1,5 milioni i migranti attualmente impiegati come schiavi sul territorio, pronti a salire fino a 2,5 milioni con l’avvicinarsi di Qatar 2022. Le denunce riguardano il mancato miglioramento delle condizioni di sicurezza nei cantieri e di igiene negli alloggi. Il mai avvenuto aumento del numero degli ispettori del lavoro e la mai concessa possibilità alle Ong di visitare liberamente i siti. Anzi, nelle scorse settimane sono state arrestate una troupe della tv tedesca e una inglese, entrambe lavorando a inchieste sulle condizioni dei lavoratori avevano provato a visitare i cantieri incriminati.
I numeri sono impressionanti, secondo le stime del Guardian e del sindacato internazionale ITUC dal 2012 a oggi il numero di morti sul lavoro è di 2,5 al giorno. Di questo passo per il calcio d’inizio dei Mondiali il numero di morti potrebbe superare le 4mila unità. Una vera e propria emergenza umanitaria, su cui la Fifa non si è ancora degnata di intervenire. Eppure le prime denunce erano arrivate nel 2013, poi reiterate con nuove inchieste. E nel 2014, dopo che i numeri parlavano in un solo anno di 144 morti sul lavoro, 56 suicidi e un altro centinaio morti di caldo (50 gradi all’ombra) e di stenti nelle baraccopoli o nei campi profughi in cui sono alloggiati, la Fifa si era dichiarata pronta a intervenire. Ma non è ancora successo.
Il Mondiale di Qatar 2022 è un immenso business per la Fifa, organizzazione senza scopo di lucro che lo scorso anno ha fatturato 1,8 miliardi di dollari, per le televisioni e per gli sponsor. Uno storico partner commerciale come Visa pochi giorni fa ha rilasciato un comunicato in cui si è detta sconcertata per le notizie che provengono dal Qatar e ha chiesto alla Fifa di intervenire con urgenza. Ma non si è sfilata dall’organizzazione della manifestazione. Perché Qatar 2022 è anche un’immensa scacchiera politica, la cui prima mossa data 5 dicembre 2010, il giorno della contestata assegnazione.
Da allora, per le accuse di corruzione sono piano piano cadute le teste di tutti i nemici di Blatter, l’inchiesta interna della Fifa affidata al superprocuratore Garcia è stata affossata con la decisione di non renderla pubblica. E l’ultimo a cadere Qatar è stato Platini, ex delfino di Blatter che avrebbe dovuto sfidarlo alle elezioni presidenziali Fifa del prossimo 29 maggio e che invece ha rinunciato per i troppi legami con la monarchia qatariota. “Trascorso oltre un anno e mezzo dalla denuncia di Amnesty sull’esteso sfruttamento dei lavoratori migranti, poco o nulla è stato fatto per contrastarne le cause – ha detto Qadri – col boom delle costruzioni ancora in corso e la popolazione dei lavoratori migranti destinata ad aumentare, la necessità di riforme è più pressante che mai”. Ma i diritti umani rischiano di restare intrappolati in questo squallido ballo del potere calcistico.