Clara Sereni scrive una sorta di confessione di una generazione che ha flirtato a lungo con gli Dei della rivoluzione: “Sul pavimento a losanghe dormiva chi arrivava, se in possesso di un proprio sacco a pelo: stranieri soprattutto, piccioni viaggiatori di paesi di vecchia e nuova dittatura. E intanto ci si mischiava, si mescolavano cibi e corpi, italiani e stranieri: fare l’amore era il modo più diretto per conoscerci e sentirsi insieme”
Clara Sereni è considerata una delle nostre migliori scrittrici e ha una lunga produzione letteraria dietro di sé. Dal suo debutto del 1974, “Sigma Epsilon”a questo nuovo “Via Ripetta 155” (Giunti Editore), il filo non si mai interrotto, nonostante le tante mutazioni sociali, culturali e politiche patite, e il fluire inesorabile e sempre meno travolgente del tempo. Via Ripetta sta nel triangolo d’oro fra piazza del Popolo, piazza Navona e il Pantheon. Ma quel numero civico, il 155, dove la Sereni trascorse gli anni capitali della sua esistenza, è quasi un buco nero in una delle zone più centrali della città eterna. È nel piccolo tratto dopo l’Ara Pacis ma tutti pensano appartenga già a via della Scrofa. “Firmai il contratto di affitto a inizio novembre, nel giorno dell’elezione di Nixon; pochi giorni dopo i colonnelli greci condannarono a morte Panagulis, socialista e poeta”. Sorta di confessione, privata e pubblica, di una generazione che ha flirtato a lungo con gli Dei della rivoluzione, prima del loro crepuscolo violento, il viaggio autobiografico dell’autrice muove proprio da lì: dall’indirizzo, fuori fuoco, dei suoi vent’anni. “Il futuro era un cantiere aperto, molte e grandi cose da fare. Ci sentivamo nel grande fiume della storia”. 1968-1977: gli anni delle utopie bellissime di pace e amore universale che si risolsero nel loro opposto, nel terrorismo, nel livore di piombo, nel riflusso generalizzato.
Clara si guadagnava qualcosa da vivere come dattilografa nell’associazione dei cineasti. “I figli si ribellavano contro i padri, i documentaristi contro gli autori di lungometraggi, Bellocchio contro Lattuada”. Lì finì per innamorarsi perdutamente di Citto Maselli, simbolo seventies di certo cinema engagé e di partito, “aveva attorno molte donne, apparentemente non in competizione, la gara era soltanto tra chi reggeva di più alle nottate”. Di sera o non appena poteva, la Sereni cantava: canti popolari e anarchici, alle feste dell’Unità o al mitico Folkstudio. E poi i suoi primi racconti (di fantascienza); la profonda amicizia con i fratelli De Gregori e la nascita della storia d’amore con Stefano Rulli, futuro sceneggiatore de “La Meglio Gioventù”; il rapporto conflittuale con suo padre, storico parlamentare del Pci.
“La storia siamo noi”, anche se lei e i suoi amici non ne furono mai perfettamente al centro. Come il 155 di via Ripetta: “Sul pavimento a losanghe dormiva chi arrivava, se in possesso di un proprio sacco a pelo: stranieri soprattutto, piccioni viaggiatori di paesi di vecchia e nuova dittatura. E intanto ci si mischiava, si mescolavano cibi e corpi, italiani e stranieri: fare l’amore era il modo più diretto per conoscerci e sentirsi insieme”. Il 1969: Piazza Fontana, gli scioperi e i cortei, “mi vestivo nei modi più bizzarri senza neanche pensarci su, l’aria del tempo me ne faceva sentire in diritto”. Il 1970: lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio, “tornavo a casa da sola a orari impossibili, senza paura: a parte un po’ di hascisc, la droga ancora non c’era, né la violenza che ne è derivata”. Il 1971: la campagna di Lotta Continua contro il commissario Calabresi e la comparsa delle primissime Brigate Rosse, “compagni che sbagliano, comunque figli e fratelli nostri anche se sbagliano, sbagliano proprio”. Il tentativo di suicidio. Nel 1972 “tutti a contrastare la Mostra del cinema di Venezia, ormai imbalsamata”, il “rumore di fondo sempre lo stesso, il tum-tutum del ciclostile”; nel 1973 il Watergate, Allende, la pubblicazione su Rinascita del saggio in cui Berlinguer ventilava per la prima volta l’idea del compromesso storico, e la lavorazione al suo primo romanzo; nel 1974 il trauma della bomba a Piazza della Loggia, l’odore di golpe. 1975: il tema coppia aperta/coppia chiusa diventa un’ossessione anche tra gli extraparlamentari di sinistra. 1976: la festa di non-matrimonio con Rulli, il ritorno in via Ripetta, la “luna splendeva sul Gianicolo e illuminava tutta Roma stesa davanti al palazzo”. I primi dubbi, e l’incupimento del clima generale. “Via Ripetta 155” si conclude, e non poteva essere altrimenti, nel 1977: l’anno della militarizzazione del movimento e degli scontri di piazza sempre più cruenti. L’anno in cui morì suo padre. Subito dopo, il trasloco. Via da via Ripetta. “Tutto era pronto per un nuovo passo in avanti”. O di lato.