La Procura della Repubblica di Sassari ha aperto una indagine per accertare se siano stati commessi reati nella gestione della verifica del virus Ebola che ha colpito l’infermiere sassarese, di 37 anni, ora ricoverato allo Spallanzani di Roma. Le sue condizioni sono “stabili”, secondo l’ultimo bollettino medico il paziente si alimenta da solo.

Il fascicolo è senza indagati e ipotesi di reato – come anticipa il quotidiano La Nuova Sardegna – per far luce sulle modalità della gestione del paziente. L’inchiesta si affianca a quella interna dell’Asl, avviata nei giorni scorsi, sulle procedure del paziente al suo arrivo e durante la degenza prima che venisse confermata la presenza del virus. Accertamenti sono stati avviati anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità.

Mentre a Sassari resta alta la tensione innescata dalle critiche per la gestione dell’emergenza seguita al manifestarsi dei sintomi che hanno portato al ricovero dell’infermiere. Sono 19 le persone, fra medici, infermieri e tecnici, ancora in isolamento. Al di là dell’aspro confronto politico provocato a livello locale anche alcuni condomini del palazzo in cui l’infermiere ha soggiornato, ospite dei suoi familiari, tra il rientro dall’Africa e il ricovero nel reparto di Malattie infettive dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Sassari, hanno protestato per non essere stati informati della presenza nel loro edificio dell’infermiere. Lo hanno appreso solo al momento in cui sono state avviate le operazioni di decontaminazione dell’appartamento.

“L’epidemia di Ebola è sostanzialmente finita, sono rimasti pochi casi sporadici, ma è stata una grande sconfitta per la medicina perché si sono proposti due metodi di cura diversi per africani e occidentali, un doppio standard inaccettabile” dice Gino Strada, nel suo intervento stamani al Wired Next Fest di Milano, dove è stato invitato a parlare della sua esperienza recente e passata con Emergency, l’organizzazione da lui fondata 21 anni fa. “Abbiamo dimostrato che l’unico approccio a quella malattia è la terapia intensiva, come si è visto peraltro con i pazienti guariti in Occidente – ha detto Strada – I mesi passati in Sierra Leone sono stati lunghi e stressanti, ma sono orgoglioso di aver messo in piedi una terapia intensiva per l’Ebola che non c’era nemmeno in Italia”.

“Alcune volte credevo di non farcela, pensavo ai colleghi rimasti in Africa o alle mie figlie” racconta al Wired Next Fest di Milano Fabrizio Pulvirenti, il medico di Emergency guarito che spiega anche le cure a cui si è sottoposto: prima con un trattamento antivirale senza buon esito, quindi ancora senza successo con il plasma da convalescente, infine con gli anticorpi del farmaco sperimentale Z-Mapp. “Ma è stata la terapia intensiva a salvarmi sostenendo funzioni vitali, ripristinando liquidi e assistendo la respirazione: così abbiamo curato tante persone in Sierra Leone”.

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