Ethan & Joen Coen hanno presieduto una giuria che ingiustamente ha trascurato tutti e tre i bellissimi titoli dal Belpaese, favorendo quelli dei “cugini” d’Oltralpe. Senza farne una questione geopolitica, è un fatto che le tre pellicole italiane siano state letteralmente acclamate da buona parte della critica e del pubblico internazionali quando hanno fatto la loro apparizione sulla Croisette
No Country for Italian Men. E come sottotitolo si può aggiungere “but for French Men”. Parafrasando uno dei loro film più celebrati, Ethan & Joen Coen hanno presieduto una giuria che ingiustamente ha trascurato tutti e tre i bellissimi titoli dal Belpaese, favorendo quelli dei “cugini” d’Oltralpe. Senza farne una questione geopolitica, è un fatto che le tre pellicole italiane siano state letteralmente acclamate da buona parte della critica e del pubblico internazionali quando hanno fatto la loro apparizione sulla Croisette.
Purtroppo che non si sarebbe sentito parlare italiano alla cerimonia di chiusura lo si sapeva da qualche ora, visto che nessuno dei “nostri” tre era stato “richiamato sulla Croisette” come si usa dire in gergo. Rimasti a bocca asciutta, Matteo Garrone, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino non sono tra protagonisti di un Palmares quasi prevalentemente francofono: a vincere la Palma d’oro del 68° Festival di Cannes è infatti Dheepan del 63enne regista parigino Jacques Audiard. Lo ricordiamo già vincitore del Gran Prix nel 2009 per Il profeta e con diverse apparizioni e riconoscimenti sia sulla Croisette che ai César, ma la Palma d’oro ancora gli mancava.
Dei cinque titoli francesi Dheepan è il migliore: vi si racconta la drammatica vicenda di tre migranti dallo Sri Lanka – uomo, donna e bambina – che si improvvisano famiglia per facilitarsi l’ingresso in Francia. Lui è un guerriero Tamil, e tutti fuggono da un Paese devastato dal conflitto civile. L’arrivo europeo non facilita la vita, ma almeno la rende possibile. Struggente e con momenti di reale thrilling, Dheepan (che è il nome del protagonista) è un film solido, ma forse non così straordinario da meritarsi la Palma d’oro.
Meritevole invece del proprio premio – il Gran Prix – è l’esordiente ungherese László Nemes col suo infernale Saul Fia. “Un film che nessuno voleva fare perché troppo rischioso” spiega il cineasta 37enne. Con notevole coraggio cine-lingusitico, mostra l’inferno di un lager nazista durante la II Guerra Mondiale: un prigioniero ebreo tenta di seppellire il cadavere del figlio, cercando un rabbino nei gironi di un universo visivamente e dal suono insostenibile. Un’opera claustrofobica, disturbante, eccentrica. È invece un autentico maestro del cinema dall’estremo Oriente il detentore del premio per la miglior regia: si tratta del taiwanese Hou Hsiao-Hsien, 68 anni e tanti riconoscimenti ricevuti per il suo cinema notoriamente “minimalista”: dal Prix du Jury per Il maestro burattinaio nel 1993 al Leone d’oro a Venezia nel 1989 con La città dolente. The Assassin è il titolo della sua magistrale opera “wuxia” – la più bella del concorso dal punto di vista visivo – con protagonista una giovane guerriera.
Nella mani del greco Yorgos Lanthimos (che nel 2009 aveva stregato tutti con Kynodontas) e del suo surreal/grottesco/tragicomico The Lobster finisce il Prix du Jury: un film in lingua inglese dall’idea geniale ma dallo sviluppo piuttosto noioso e furbescamente “meccanico”. E sempre a un film dal finale sbagliato (che ne sopprime il valore) va il premio alla sceneggiatura, ovvero a Chronic del messicano Michel Franco: se il film aveva una qualità quella era nell’interpretazione di Tim Roth (anche coproduttore) che invece è stato trascurato.
E, a proposito di premi agli attori, a gioire in trionfo è ancora la Francia: se meritatissimo è il riconoscimento al monumentale Vincent Lindon, 55 anni e protagonista assoluto del discreto La Loi du Marché di Stéphane Brizé, assolutamente deprecabile è quello a Emmanuelle Bercot per la sua “isterica” interpretazione nel bruttissimo Mon Roi della collega e connazionale Maiwenn. A peggiorar il verdetto si è aggiunta la beffa: il premio per la miglior attrice è stato condiviso ex aequo con Rooney Mara co-protagonista (con la perfetta Cate Blanchett… trascurata) di Carol di Todd Haynes. Parliamo del miglior film presentato quest’anno in concorso a Cannes che meritava la Palma d’oro e che invece finisce con un contentino imbarazzante e ridicolo. Oltre ai tre italiani, è rimasto fuori un altro film eccellente: Mountains May Depart del talentuoso cinese Jia Zhang-ke.
Difficilmente una giuria era riuscita a sbagliare tutti insieme tanti premi al più prestigioso festival cinematografico del mondo. Meglio è che i fratelli Coen tornino serenamente al loro lavoro di magnifici registi.