Eccoci sul luogo del delitto, nell’infinita tappa dell’amore e della memoria. Il Girum 2015 torna infatti a Madonna di Campiglio, dove sedici anni fa cominciò la discesa all’inferno di Marco Pantani. Il 4 giugno del 1999 il Pirata scattò come una furia e andò a vincere in solitudine la ventesima tappa di quel Giro d’Italia che aveva dominato e che aveva esaltato il grande popolo delle salite. Di tappe ne aveva già vinte tre, quella di Oropa fu memorabile, lo fece diventare mito: era rimasto staccato per un incidente meccanico, un maledetto salto di catena. Davanti, il francese Laurent Jalabert con la maglia di campione francese, prese a tirare più che poteva. Pantani era stato costretto a fermarsi, per rimettere la catena nel deragliatore perse una quarantina di secondi. Lo superarono in trentanove. Lui cominciò un furibondo inseguimento, riprese uno dopo l’altro chi l’aveva sorpassato. Quando affiancò Jalabert, l’ultimo a cedere, nemmeno si voltò a guardarlo, come non fosse esistito. Lo superò in tromba, fu un trionfo epocale, una corsa d’emozioni travolgenti. Ne ho un ricordo indelebile.
Poi, mentre il Giro si avviava alla scontata conclusione – chi pensava di mettere in dubbio il trionfo di Pantani? – bisognava mettere in archivio la terz’ultima tappa con l’inedito arrivo nell’elegante stazione turistica di Madonna di Campiglio, dopo una lunga salita da Pinzolo. Marco inseguiva ormai la storia del ciclismo, voleva entrare nella leggenda, dimostrare che sulle strade che si arrampicavano al cielo non aveva rivali. Gli unici, dovevano essere rintracciati nel passato più glorioso del ciclismo. Coppi, Bartali. E Pantani. Non permise a chi era in fuga di arrivargli davanti. Li riprese, sembrava una moto. Arrivò a Madonna di Campiglio e gli avversari patirono più che il confronto, l’affronto.
Il mattino dopo, i controlli della commissione medica Uci riscontrarono nel sangue di Pantani un tasso d’ematocrito del 52 per cento, superiore al limite massimo consentito. Il Pirata venne escluso dalla partenza della ventunesima tappa. Il Pirata andò in fuga dal resto del mondo. Si rifugiò a casa, in quel di Cesenatico. Meno di cinque anni dopo, fu trovato morto in una stanza di un residence di Rimini. Era il 14 di febbraio del 2004. “Pantani è stato il corridore che ho amato di più, la mia ispirazione”, ha detto oggi Alberto Contador che avrebbe voluto vincere la quindicesima tappa, mentre si è dovuto accontentare del terzo posto. Ci sono sogni che non si realizzano, questa è la vita, e questo è il ciclismo, anche quando sei il più forte.
Al Patascoss di Madonna di Campiglio, un pezzo di strada asfaltata da poco che s’impicca tra malghe e frange di bosco, ha vinto l’Astana di Fabio Aru. Ma non Fabio Aru. Bensì il luogotenente del corridore sardo, il basco Miguel Landa Meana, che è parso assai più tonico ed in forma del suo capitano. Tanto da averlo messo in difficoltà un paio di volte, con scatti che pizzicano Contador. Occorre un necessario flash back. Alla partenza da Marostica, tutti capiscono che l’Astana è sul piede di guerra. Che sarà una tappa durissima. La strategia del direttore sportivo Giuseppe Martinelli – che fu ds dello sventurato Pantani – è chiara: isolare la maglia rosa, accerchiarlo, mandare in tilt la Tinkoff, snervare lo spagnolo. Tra allunghi e tentativi di fughe, piglia consistenza la scappata di Visconti, Siutsou e Dupont che transitano nell’ordine al Passo Daone, gran premio della montagna di prima categoria, l’antipasto avvelenato di una corsa senza attimi di pausa.
Lentamente, inesorabilmente il loro vantaggio sfuma perché dietro cinque corridori dell’Astana hanno sdrumato il gruppo. Sono rimasti in diciannove, Contador lascia sfiancare gli azzurri di Aru, anzi, al traguardo volante di Pinzolo, sprinta e guadagna due secondi di abbuono. Il Giro è come il maiale, non si butta nulla, “non si sa mai quel che ti potrà succedere domani, se hai l’occasione di pigliare degli abbuoni gratis, perché sprecarli?”, ha spiegato El Chullo, con l’aria della volpe che beffa il corvo. L’Astana, implacabile, aumenta il ritmo, Contador non accusa, si fa portare in carrozza dagli avversari a Madonna di Campiglio. Via via Aru resta con Tanel Kangert e Landa, Diego Rosa ha concluso il suo lavoro qualche chilometro prima, Paolo Tiralongo si è rialzato a otto chilometri dal traguardo. Fabio si mette a ruota di Contador che ha davanti Kangert e Landa. Ci sono anche il russo Yuri Trofimov della Katusha, il ceco Leopold “Leo” Konig, il costaricano Andrey Amador, terzo della classifica generale, Daniele Caruso, il belga Maxime Monfort.
Appena la salita s’incattivisce, restano in quattro: Aru e Landa, Contador e Trofimov. Landa scatta, Contador gli s’incolla, gli passa avanti. Aru perde terreno, con Trofimov a ruota. Contador rallenta, Landa si volta. Aru li riprende. Il sardo e la maglia rosa parlottano. Scatta il russo, prova il colpaccio. Contador borbotta qualcosa ad Aru. Landa ha il permesso di riprendere il russo e giocarsi la tappa. Il permesso di chi? Contador voleva vincerla lui la tappa, in memoria di Pantani. Ma Landa è in giornata super e Aru, a un certo punto, prova a scattare per arraffare l’abbuono del terzo posto. Contador lo affianca in un amen, lo supera, lo stacca. Landa ha stracciato il russo, terzo è Contador che stacca di un secondo Aru. Martinelli, il ds dell’Astana, è costretto a dire: “Contador è il padrone del Giro. Ha gestito bene la tappa. Volevamo metterlo in difficoltà, non ci siamo riusciti. Abbiamo provato a fargli saltare i nervi, ad Alberto. Niente. Abbiamo perlomeno evitato di fare un regalo ad altri corridori, Landa ha avuto il ‘là’ da Aru”. Crolla Rigoberto Uran Uran, busca 8 minuti. Sprofonda nell’oblìo Richie Porte, 88esimo a 27 minuti e 4 secondi, è nel gruppetto del cinese Gang Xu e di Diego Ulissi.
L’amico etiope arranca più in là, Tsgabu Gebremaryam Grmay si piazza 113esimo, il peggiore risultato di questo suo primo Giro, il ritardo è di 31 minuti e 38 secondi. In classifica scende all‘89esimo posto, da Contador lo separano 2 ore 09’04”, il migliore della Lampre resta il polacco Przemyslaw Niemiec, 33esimo a 57’54”. Nella classifica dei migliori giovani, l’abissino Grmay è precipitato al 17esimo rango. Insomma, le tossine della crono hanno fatto sconquasso delle gambe di Tsgabu. Siccome non può gareggiare per nessuno posto di prestigio, perché non puntare ad impadronirsi dell’ultimo posto? La maglia nera vuol dire essere il primo in classifica, a leggerla alla rovescia, cominciando cioè dal fondo. Mica facile. In questo Girum la lotta per il primato negativo è per ora questione tra il veneto Marco Coledan nato in quel di Motta di Livenza, penultimo a 3 ore 53’48”, e il lettone Alksejs Saramotins, 174 esimo e ultimo a 3 ore 53’59”. Nove piccoli secondi li separano, dopo 2407 chilometri che Contador ha percorso alla media di 40,099 chilometri l’ora. Tsgabu deve perdere un’altra ora 44 minuti e 56 secondi per far peggio del lettone. Un’impresa andare in fuga, non davanti al gruppo. Ma dietro.