Dal 6-1 al 4-3 per il Pd nel breve volger di tre giorni. Matteo Renzi ridimensiona le ambizioni del Partito Democratico alle Regionali del 31 maggio. Se finisse 4-3 per i democratici, ha spiegato il premier in un’intervista al Secolo XIX, “sarebbe comunque una vittoria”. Nulla di strano, pura cautela pre-elettorale o semplice senso della realtà, se non fosse che solo il 21 maggio a Vicenza il segretario si mostrava più sicuro: “Se finisce 6-1? Il Pd non vuole perdere nemmeno mezza regione“. Per carità, non è molto di più di un esercizio retorico, ma se ad abbassare il tiro a una settimana dal voto è un tipo abituato a giocare al rialzo come il premier è segno qualche dubbio in casa Pd stia cominciando ad affiorare.

“Il voto del 31 maggio è molto importante perché decide il destino dei liguri, non del Pd”, premette nell’intervista con il quotidiano di Genova il premier, che poco più avanti sottolinea nuovamente: “Al governo non cambia niente nessun risultato”. E’ l’incipit della risposta di Renzi alla domanda attorno alla quale ruota l’intera chiacchierata: un eventuale 4-3 nel risultato finale delle elezioni regionali avrebbe conseguenze per il governo? “Per gli amanti del calcio – risponde sornione Renzi – il 4-3 evoca ricordi fantastici, con il piattone di Gianni Rivera e la Germania eliminata. Da quando sono segretario abbiamo recuperato quattro regioni alla destra: Piemonte, Sardegna, Calabria e Abruzzo, superato il 40% alle Europee, recuperato molte città. Fosse un 4-3  – mette le mani avanti il premier – sarebbe comunque una vittoria per il Pd. Ma credo che andrà meglio”.

Eppure solo il 21 maggio il premier si mostrava fiducioso sul fatto che la vittoria avrebbe avuto contorni più netti: “Non puoi dire che, se finisse 6-1, il Pd sarebbe contento – spiegava Renzi riferendosi ad un suo precedente pronostico (“Vinceremo 6 a 1 alle Regionali”) che aveva fatto nascere malumori tra i vertici veneti del partito – ora il Pd è in una fase in cui non ne vuole perdere neanche mezza“, scandiva sicuro dal palco del teatro Comunale di Vicenza, in un comizio a sostegno della candidata dem a presidente della Regione Veneto, Alessandra Moretti. E, affinché non rimanesse neanche l’ombra di un dubbio a offuscare il concetto, poco dopo ribadiva: “Il Pd non vuole perdere nemmeno mezza regione“.

Era la versione ufficiale fino a pochi giorni fa, visto che il 9 maggio era Maria Elena Boschi a suonare la carica, sempre in Veneto. A Padova per sostenere la Moretti, il ministro delle Riforme tirava dritto come una locomotiva: “Sarà un 7-0 – annunciava – il 6-1 di Renzi? Solo scaramanzia“. Poche settimane dopo, alla luce dell’intervista del premier al Secolo, Boschi precisa:  “Il 4-3 sarà comunque una vittoria? Penso che in ogni caso l’esito del voto non influenzerà il futuro del governo”.

Anche perché bisogna sempre fare i conti con la realtà. La realtà, in Liguria, è che la sinistra è divisa e il premier ha già individuato le eventuali responsabilità: “Nella sinistra c’è chi preferisce veder vincere Berlusconi piuttosto che far vincere il Pd. Niente di nuovo, se ci pensa. È già accaduto in passato: Luca Pastorino, sindaco eletto dal Pd, parlamentare eletto dal Pd, oggi è l’unica speranza per Forza Italia. È il più fedele alleato di Berlusconi in questa terra -dice ancora il premier-. Niente di nuovo sotto il sole: una sorta di Fausto Bertinotti 2.0. Del resto chi lo appoggia, come Vendola, ha già fatto il capolavoro di uccidere il governo Prodi, distruggendo l’esperienza del centrosinistra. A volte ritornano…”.

A conti fatti, al premier andrebbe bene anche il 4-3, quindi. Sarà contento Renato Brunetta, che il 13 aprile preconizzava il risultato e auspicava: “Fino a un mese fa c’era il mantra del 7-0, il pronostico appariva scontato. Beh, adesso la sinistra si tiene attaccata all’orizzonte del 5-2. Ma se finisce 4-3, allora Matteo Renzi se ne deve andare“.

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