“La rivoluzione è un’opinione appoggiata dalle baionette”. Lo diceva uno che la sapeva lunga in fatto di armi. Ma di Napoleone in Italia ce ne sono tanti che le armi e l’opinione hanno smesso di andar d’accordo da un pezzo, alimentando una sceneggiata che continua ancora oggi. Prendiamo gli F35, programma d’armamento iniziato in sordina nel 2001 con previsioni di spesa a molti zeri e diventato materia incandescente negli anni cupi della crisi e delle spending review.
Il tema è diventato tra i più “divisivi”, tanto da dividere non solo le forze di opposizione da quelle di maggioranza, i partiti contrapposti e movimenti pacifisti contro i nazionalisti. Riesce a divide perfino le persone da se stesse, come testimonia questa raccolta di dichiarazioni in ordine cronologico che abbiamo ripescato a partire da Matteo Renzi, il presidente del Consiglio.
“Sono d’accordo nel chiudere i piccoli tribunali. Però non capisco perché buttare via così una dozzina di miliardi per gli F35”. Era il 7 giugno del 2012 e via Twitter Renzi commentava così le misure annunciate dal governo Monti per contenere la spesa pubblica. Quegli acquisti dovevano sembrargli allora un controsenso beffardo e insopportabile: “Continuo a non capire – ribadiva poi – perché buttar via così tanto sulle spese militari, a partire dalla dozzina di miliardi necessari a comprare i nuovi F35. Anche basta, dai”. Ma allora era solo un sindaco, armato di tanta voglia di rottamare e in corsa per le primarie del centro sinistra.
Spreco, anzi no. “Battaglia simbolica”
Il Renzi premier neutralizza presto le aspettative. I primi segnali arrivano un mese dopo il giuramento, all’indomani del vertice con Obama del 28 marzo 2014 che si conclude senza affrontare il tema della revisione del programma militare, come veniva richiesto da più parti. A chi lo imbeccava sul punto, Renzi spiegava la linea del suo governo. “Sugli F35 si consuma una delle grandi battaglie mediatiche che sono totalmente lontane dalla realtà dei fatti”, dirà lo stesso giorno a Bersaglio Mobile.
Ribadirà poi il concetto in un’intervista al Fatto Quotidiano del 22 maggio successivo, bollando la battaglia per la riduzione dei caccia americani come “complicata e simbolica”. “Abbiamo sempre detto che quello è un tema aperto di discussione. Per ora diciamo che ci sarà una riduzione dei costi della Difesa”. E così è stato: a tutt’oggi, l’unico taglio certo sugli F35 l’ha fatto ancora e solo Monti, passando dai 135 velivoli in ordinazione a 90. E lì siamo rimasti, perché l’Italia ha mantenuto l’impegno per l’acquisto dei 90 velivoli, 38 entro il 2020.
Gli F35, chissà perché, hanno fatto girare la testa a molti. Spesso dall’altra parte. L’apice della confusione e delle opinioni a corrente alterna è andato in scena in Parlamento due anni fa, quando le polemiche sul programma d’armi da 100 milioni a velivolo atterravano in aula. Alla Camera si poteva imprimere una svolta, facendo materializzare una mozione chiara per il taglio degli ordinativi fino alla metà. Ne esce invece un pastrocchio di quattro mozioni diverse, col risultato che si deliberò a maggioranza di confermare il programma dei caccia anche se “ulteriori acquisizioni non saranno possibili senza il via libera del Parlamento”.
Partiti nel caos. Berlusconi: “Ci faremo aerei da turismo”
Difficile spiegare. Ecco il filotto di dichiarazioni alla vigilia di quel fatidico 26 giugno 2013. Si scoprì allora che Silvio Berlusconi era “contrario da sempre” all’armamento, salvo aver confermato più volte la partecipazione dell’Italia al progetto da presidente del Consiglio. “Bisogna mantenere i patti, ma non mi sognerei mai oggi di fare una spesa del genere” spiegò poi ai cronisti di Presa Diretta lasciandoli con una battuta per un uso alternativo dei caccia: “Ci faremo del turismo aereo”. Da una dozzina di miliardi di euro. Dietro di lui i corifei del Capo, da Fabrizio Cicchitto in giù. “Non capiamo perché si taglia tutto tranne gli F35”. Ma l’ostilità all’industria delle armi dura poco. Tocca a Renato Brunetta dichiarare che quel voto in aula nulla cambia: “Il programma F35 è confermato. Solo serve l’ok del Parlamento per i successivi avanzamenti”.
Anche dall’altra parte si è assistito a una vorticosa girandola di dichiarazioni personali e smentite ufficiali. “Bisogna assolutamente rivedere e limitare le spese militari degli F35 perché le nostre priorità sono altre. La nostra priorità non sono i caccia ma il lavoro” (Pier Luigi Bersani, Pd, 22 gennaio 2013). Da un mese però Bersani non è più segretario del Pd. E su quella faccenda non ha capito nulla. Glielo spiegherà il deputato Pd Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio: “Chi dice che togliendo gli F35 si recuperano risorse per abbattere il cuneo fiscale, dimostra di non sapere come funziona il bilancio dello Stato (…). Degli F35 ormai s’è fatto un simbolo. Ma pochi sanno che Berkeley, l’università più pacifista al mondo, ottiene fondi per l’80 per cento dall’industria militare. E poi, potrà non piacere, ma gli investimenti militari danno ritorni economici, in termini di occupazione, e di tecnologie che poi finiranno nel settore civile. È l’Abc» (26 giugno 2013).
Certezza Pinotti: “Né confermati, né smentiti”
Speranze improvvise si erano accese per le dichiarazioni dell’allora senatrice Pd Roberta Pinotti. Il due maggio 2013, dopo le politiche, viene nominata sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa del governo Letta. Il 13 giugno 2013 si dice apertamente contraria all’abolizione totale ma favorevole a usare la scure sugli acquisti. Non tutti, ma un buon 90%. “C’è una esigenza, essenziale, perché senza di quelli non funziona la portaerei, ed è di 15. Perché sono 15 quelli che servono se vuoi far funzionare una portaerei, ne abbiamo una ora”. Il ragionamento tecnico-militare non vale più oggi che è ministro: servono tutti e 90.
In questi panni partecipa a un videoforum di Repubblica.it. E’ il 18 febbraio 2015. Gli utenti con la memoria lunga le chiedono conto delle spese per F35 e delle intenzioni del governo. Pinotti è costretta a una supercazzola che è bene trascrivere per intero: “I 90 aerei non sono né confermati né disdetti. In Parlamento abbiamo deciso che il costo complessivo deve pesare la metà circa, tenuto conto dei riflessi economici. E su questo ci siamo mossi perché abbiamo Cameri (lo stabilimento in provincia di Novara dove vengono assemblati e dove si farà la manutenzione per tutta l’Ue)”. Né confermati, né disdetti. Se non lo sa il ministro della Difesa, nessuno lo sa.
Segue mini-spiegazione, ancora più criptica: “Il problema non e’ il numero, ma spendere meno”. Perché, insiste il ministro, “Il Parlamento non ha detto usciamo dal programma”. Il ministro parla di riduzione del budget di un terzo rispetto a 14 miliardi, ma senza menzionare la possibile riduzione degli ordinativi. E dunque si spalancano ancora ipotesi: compriamo gli stessi F35, tutti, ma senza un motore? Senza un’ala? Il mistero, dopo anni di polemiche e promesse, è rimasto.