In Spagna vince Podemos, una sinistra giovane che fa la sinistra e con un leader serio che alimenta speranze, che vedremo se saprà soddisfare, ma intanto segnala la vitalità di una democrazia giovane e in buona salute. Nella cattolicissima Irlanda vincono addirittura i matrimoni gay, mentre noi siamo ancora qui a domandarci se sia il caso di riconoscere le unioni civili, patrimonio comune della destra e della sinistra in tutto il resto d’Europa. E l’Italia? L’altra sera, come ogni tanto gli accade quando è sovrappensiero, Berlusconi ha detto almeno una cosa vera a Che tempo che fa. Vera e al contempo agghiacciante: i due Matteo, nel senso di Renzi e Salvini, sono i beniamini dei sondaggi e degli elettorati di centrosinistra e di destra perché sono sempre in televisione. Il fatto che abbiano poco di nuovo da dire, e che quel poco sia perlopiù falso, non conta: lo dicono benissimo, e tanto basta in tv, dunque nella testa degli italiani. La differenza con B. è che lui, di nuovo, non ha proprio nulla da dire e per di più lo dice malissimo: dunque anche se occupasse da mane a sera i teleschermi come ai (suoi) bei tempi, non sposterebbe voti. E lo sa bene, infatti promette nuovi (o nuove) leader che non ha.
Ancora una volta, con buona pace di chi l’ha sempre negato per giustificare il conflitto d’interessi, il Fattore Tv si dimostra, come a ogni elezione dal ‘94 a oggi, fondamentale per conquistare o conservare i consensi: il video logora chi non ce l’ha e chi non la fa. Prendete anche i 5Stelle: l’anno scorso si illusero che bastassero le piazze, mentre Renzi girava i talk show a televendere i suoi 80 euro, e alle elezioni europee li doppiò: 40,8 a 21. Poi Grillo e Casaleggio scoprirono che la tv non è il demonio, basta saperla usare con un pizzico di sale in zucca e saperci mandare chi “buca” e “funziona”, tipo i cinque del Direttorio più alcuni altri. E subito un movimento che pareva destinato al viale del tramonto è tornato a salire nei sondaggi.
Intendiamoci. Non c’è nulla di incoraggiante nel constatare che siamo ancora il paese più teledipendente d’Europa, dopo tutte le teorie sulla morte della tv generalista, sulle magnifiche sorti e progressive della Rete e sull’inutilità di darci una legge antitrust e sul conflitto d’interessi. Ma le cose stanno così: anche questa campagna elettorale che dovrebbe essere più vicina e attenta ai problemi locali si fa negli studi televisivi: le Regioni sono le istituzioni più sputtanate che abbiamo (fra le tante), e dei loro problemi sembra fregare poco o nulla. Tant’è che in video i candidati si vedono pochissimo, oscurati dai soliti Renzi & Salvini, con l’aggiunta (tardiva in tutti i sensi) di B. Tutti e tre accomunati da un sovrano disprezzo per i cittadini, trattati come carne da cannone, o di porco.
Anni fa, in un altro raro lampo di sincerità, B. paragonò l’elettore medio a “un ragazzo di seconda media che nemmeno siede al primo banco”. Tutti, ma proprio tutti i leader di partito ci considerano un ammasso di creduloni che si bevono tutto e a cui si può raccontare di tutto. Renzi, il più grande riciclatore di vecchie muffe della storia repubblicana, continua a raccontarci che sta “cambiando l’Italia”. Salvini, che non ha mai lavorato in vita sua e vive di politica da 20 anni, cioè da quando ne aveva 20, si spaccia per il nuovo che avanza e gabella per ricette nuove ed efficaci contro l’immigrazione le vecchie e ammuffite patacche usate per vent’anni da Bossi e Maroni e regolarmente fallite a livello nazionale, regionale, provinciale, comunale e rionale. B. continua a menarla con la “svolta autoritaria” di Renzi, a cui ha collaborato fino all’altroieri. Mai, nella pur ragguardevole tradizione italiota, s’era visto un così alto, trasversale e totalitario concentrato di balle. In un paese maturo, la rivolta degli elettori umiliati porterebbe a uno sciopero plenario del voto.
Qui è tutto più lento, anche se i sondaggi registrano da qualche mese le prime fughe di massa dal nuovo pifferaio, che è riuscito a farsi sgamare molto più in fretta di quell’altro. Fughe che però si indirizzano prevalentemente verso l’astensione, che l’anno scorso con l’aggiunta delle bianche e delle nulle toccò il 45% degli aventi diritto, e che ora sfiorerà il 50. Cioè toglierà all’insieme delle forze politiche l’ultimo scampolo di legittimità: quel quorum al di sotto del quale i referendum non valgono. Se poi la forza antisistema dei 5Stelle confermasse i sondaggi sopra il 20% (pari al 10 degli aventi diritto), avremmo i due terzi degli elettori che contestano in blocco tutti i partiti. Ma servirà a poco. Per un paio di giorni si aprirà il solito dibattito-farsa sul “divario fra paese reale e paese legale” (si fa per dire) e su come “riavvicinare i cittadini alla politica”. Seguirà la consueta spartizione delle poltrone fra partiti la cui voracità è inversamente proporzionale alla rappresentatività. Il manuale Cencelli calcola le percentuali di cadreghe in base ai voti validi, fossero anche 2 o 3. Si spera che stavolta chi vuole protestare davvero lo faccia attivamente, votando contro gli impresentabili di ogni risma e a favore dei presentabili. Chi non vota ha quasi sempre ragione, ma lascia tutta la torta a chi ha torto.