Quando disgraziatamente si perde il lavoro il pensiero costante diventa come trovare una nuova occupazione. Si riattivano, così, tutte le conoscenze e le relazioni, cercando di “fare rete”; si mandano un po’ di curricula alle aziende che potrebbero essere interessate al nostro profilo professionale e si consultano giornali e siti specializzati. L’ansia aumenta proporzionalmente alla carenza di risultati tangibili; così, anche per domare il senso di frustrazione, talvolta si percorrono strade nuove.
Internet diventa spesso una valvola di sfogo per questa voglia (e urgenza) di soluzioni innovative e spesso ci si illude che le nuove tecnologie (caratterizzate da rapidità e da innovatività) possano rappresentare una scorciatoia per trovare velocemente un posto di lavoro.
Internet rappresenta certamente un’opportunità che va colta.
Mentre scrivo queste cose penso ad una notizia di qualche anno fa: 45.250 posti di lavoro con contratto a tempo indeterminato (quello pre Jobs act) erano rimasti privi di candidati. Mi era sembrato un vero spreco e, così, mi sono sempre illuso che la Rete sia in grado di abbattere le barriere alla circolazione di informazioni, rendendo più agevole l’incontro tra domanda ed offerta.
In quest’ottica ho sempre guardato con interesse alle evoluzioni del sito Cliclavoro, tramite il quale il Ministero del Lavoro cerca di svolgere questa funzione. Sempre per lo stesso motivo ho iniziato a seguire siti come Jobmeeting, con cui si fa da cassa di risonanza per le offerte di lavoro, si danno utili consigli su come gestire il colloquio (“Porto il CV? oppure “Cura l’aspetto estetico, non pregiudicare la prima impressione con un look inadeguato”, ecc…). Così anche Kenwit, nome con forte assonanza con “can with” per dare il senso della community; gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
Ciò che mi è sempre piaciuto di questi siti è il fatto che si chiariscono da subito le regole d’ingaggio.
I servizi sono sempre forniti in modo gratuito. Certo, i bene informati potrebbero contestare che su Internet ciò che appare gratuito non lo è mai! Preciso allora che per gratuito intendo non remunerato con denaro.
Essi, quindi, rispettano la regola per cui “è fatto divieto…di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore” (art. 11 D.lgs. 276/2003, c.d. Legge Biagi).
Nella Rete, accanto a soggetti pienamente rispettosi delle regole, si annidano alcune insidie, da cui talvolta è difficile difendersi (di qui la mia idea, di cui magari parlerò una prossima volta del diritto a fumetti).
Alcuni casi che ho rilevato mi hanno colpito in modo particolare per l’esistenza di commenti affatto positivi.
Esistono siti che offrono un servizio di incontro tra domande e offerte di lavoro e che propongono, accanto al servizio base, la possibilità di diventare “utente premium”, pagando una cifra mensile.
L’utente, già frustrato dalle ricerche negative fatte altrove e spinto dall’ansia di ottenere risultati in tempi rapidi, viene allettato dalla promessa che chi sottoscrive un abbonamento premium ha “xx volte più probabilità che l’head hunter ed i responsabili HR lo contattino”.
Ho fatto alcuni test e ho scoperto che le proposte che mi venivano fatte non avevano alcuna attinenza con il mio profilo (come esperto di HR mi venivano segnalate posizioni per key account; business development; area manager o responsabile R&D). L’unica che aveva una descrizione coincidente con il mio profilo non era, invece, accessibile perché non ero un utente premium, il cui abbonamento naturalmente ha un costo, spesso soggetto a rinnovo automatico.
Forse che tali siti offrano non attività di intermediazione, ma l’utilizzo di software o altro servizio diverso dalla intermediazione? Non saprei rispondere.
Quello che ho capito è che nel mare magno di Internet ci si può imbattere in pesci predatori che approfittano delle nostre difficoltà.