"Nel caso del cinema e della musica sembra che tutto sia alla portata di chiunque. Nel primo campo molti confondono l’esercizio critico con la comprensione della trama; nel secondo, i giudizi sono commisurati al coinvolgimento emotivo. La critica non è questa", ha detto l'autore de “La critica musicale” a FQ Magazine
Federico Capitoni, critico musicale già autore di “Guida ai musicisti che rompono. Da Beethoven a Lady Gaga” (Giudizio Universale, 2011) e “La verità che si sente. La musica come strumento di conoscenza” (Asterios, 2013), da alla luce il suo nuovo libro, “La critica musicale” (Carocci, aprile 2015). “In Italia non esiste un libro sulla critica musicale” spiega l’autore nell’introduzione al suo volume, partendo sempre dal presupposto che “Spiegare la musica è una cosa difficilissima”. Dunque, oggi più che mai, oggi che la musica è onnipresente nella vita di ognuno di noi “appare particolarmente urgente ridefinire il concetto e la pratica di questa attività culturale multiforme, tra il giornalismo e la musicologia, tra la cronaca e l’opinione”. Quantomeno per sfatare luoghi comuni come quella frase di dubbia attribuzione (Costello?, Monk?, Mull?) per cui “Scrivere di musica è come ballare di architettura; è davvero una cosa stupida da fare”. E allora, per cogliere alcuni dei punti salienti di questo importante volume e introdurci nel vivo della trattazione, parliamo direttamente con l’autore.
Credi possa far comodo utilizzare tanto la critica d’arte come ambito lavorativo quanto il critico d’arte come figura professionale quali esempi utili a portare un po’ di luce nel mondo della critica musicale?
Sì, ma non incrociando le discipline (cioè col sincretismo che va tanto di moda oggi), bensì considerando il sostrato teorico che ne anima la riflessione. Ossia: se esiste una convincente critica dell’arte astratta, che è solo apparentemente asemantica, allora può esistere anche una critica della musica (arte solo apparentemente senza significato).
Che differenza c’e’ tra il critico musicale e il giornalista musicale? Chiunque può dirsi critico?
Grossolanamente potremmo dire che il profilo del critico sta in mezzo a quello del giornalista e del musicologo. Del primo deve avere la capacità comunicativa, del secondo il sapere tecnico. Comunque, no: non tutti possono essere critici musicali, proprio perché – al netto della raffinatezza uditiva di ciascuno – ci vogliono appunto diverse competenze.
Ho l’impressione che, a differenza della critica d’arte, quella musicale abbia oggi in Italia parecchie analogie con quella cinematografica. Che ne pensi?
Avviene poiché tutti pensano di poter parlare di musica come di cinema. Per la letteratura c’è ancora la soggezione del professore, nel caso del cinema e della musica sembra che tutto sia alla portata di chiunque. Nel primo campo molti confondono l’esercizio critico con la comprensione della trama; nel secondo, i giudizi sono commisurati al coinvolgimento emotivo. La critica non è questa. C’è da dire però che tale analogia esiste tra cinema e musica pop, i cui critici spesso non possono dirsi tali poiché privi degli strumenti teorici e tecnici; la musica classica è rimasta appannaggio degli esperti, che di solito sono critici veri.
Critici musicali e musicologi: analogie e differenze?
La differenza è nella modalità con cui esercitano le loro funzioni, più che nelle competenze. Per entrambi, non solo per i secondi, è indispensabile la conoscenza approfondita della musica (oltre che una sensibilità per i fenomeni sonori: non è scontato che le due cose vadano insieme). Diciamo che dal critico si pretende una capacità di comunicazione più sintetica che analitica, senza considerare che il critico è chiamato anche a giudicare e il musicologo no – anche se penso che il giudizio sia invero un accessorio della critica, non il fine ultimo.
Il mondo tedesco mi e’ sempre sembrato, nella critica musicale e nella musicologia, più emancipato, storicizzato e avanzato rispetto a quello italiano. Come mai questa distanza?
Credo sia una questione eminentemente culturale. La critica musicale nasce in Germania e ancora oggi la musica, come disciplina, lì viene coltivata maggiormente che da noi. E poi sarà che i tedeschi prendono tutto molto sul serio, così – a differenza nostra – considerano la musica cultura e non mero intrattenimento.
Cosa occorrerebbe fare in Italia per portare la critica musicale a godere di pari dignità, ad esempio, della critica d’arte?
Innanzitutto basterebbe ricordarsi che anche la musica è arte. Già questa identificazione lessicale gioverebbe alla musica, relegata troppo spesso nell’ambito del divertissement (musicista-giullare). Poi bisognerebbe partire dalle basi: inserire la musica tra le materie scolastiche non speciali, bensì nel normale programma ministeriale, come accade per la storia dell’arte (figurativa). Così si abituerebbe lo studente a pensare che di musica si “debba” sapere, così come di storia, di letteratura, di matematica e di pittura. A quel punto, in automatico, il critico musicale (colui cioè che si intende di musica e pensa sulla musica) verrebbe accolto come una figura intellettuale imprescindibile, d’aiuto nella comprensione di un’arte che ha una profondità di senso molto superiore a quanto ci hanno abituato a pensare.