L’operazione - nell’ambito dell’inchiesta Aemilia contro la ‘ndrangheta in Emilia Romagna - è scattata martedì 26 maggio, in una villetta di Gadesco Pieve Delmona, in provincia di Cremona: "In Italia è la prima volta che ci imbattiamo in uno spacciatore che produce di propria mano le sostanze da taglio"
“Il laboratorio serviva a mostrare alcuni esperimenti agli studenti”. Con queste parole ha cercato di giustificarsi il professore arrestato, insieme al fratello, nel blitz dei carabinieri della compagnia di Fiorenzuola (Piacenza), con la quale è stato scoperto e sequestrato un vero e proprio centro per la raffinazione e lo smercio di cocaina. L’operazione – nell’ambito dell’inchiesta Aemilia contro la ‘ndrangheta in Emilia Romagna – è scattata martedì 26 maggio, in una villetta di Gadesco Pieve Delmona, in provincia di Cremona.
I due fratelli, originari di Cutro (Crotone), Antonio ed Ercole Salerno, di 47 e 55 anni sono residenti, il primo a Gadesco Pieve Delmona, mentre il secondo a Castelverde. Sono stati arrestati con l’accusa di detenzione di droga ai fini spaccio. Il primo a essere “pizzicato”, sulla scorta degli accertamenti, il 47enne, incensurarto, laureato in Chimica e Biologia e insegnante di matematica in una scuola media del Cremonese. Il quale ha cercato, in un primo momento, di giustificare il ritrovamento: “Il laboratorio serve a mostrare alcuni esperimenti chimici agli studenti”. Ma dopo qualche reticenza, è stato costretto ad ammettere che l’armamentario ritrovato nella sua abitazione era utile alla raffinazione e alla produzione di cocaina. Sono stati sequestrati anche: presse, miscelatori, alambicchi, provette e sostanze chimiche di varia natura.
In pratica, in quel laboratorio, i due fratelli lavoravano la “polvere bianca” purissima, e la miscelavano con altre sostanze per aumentarne la quantità delle dosi da immettere poi sul mercato. Il tutto mantenendo alta la qualità da spacciare nel mercato del nord Italia. Un’attività per la quale il professore si serviva, evidentemente, delle sue competenze in materia. Nel laboratorio, per esempio, venivano utilizzate sostanze raffinate come la benzocaina (200 grammi sequestrati), solitamente usata come anestetico in campo medico, ma anche mannitolo (900 grammi sequestrati), utilizzata sempre in campo medico come lassativo per bambini, e addirittura caffeina (500 grammi). Senza dimenticare alcuni tipi di solventi per le varie operazioni di “taglio” dello stupefacente.
Secondo le indagini i carabinieri di Fiorenzuola, coordinati dal capitano Emanuele Leuzzi, ritengono che il laboratorio fosse stato avviato da circa un mese ma è ancora da quantificare la quantità di cocaina finora smerciata. “Certo è che si tratta di un caso più unico che raro – ha precisato Leuzzi – in Italia è la prima volta che ci imbattiamo in uno spacciatore che produce di propria mano le sostanze da taglio”. Non solo sostanze, perché grazie alla perquisizione nell’abitazione i carabinieri hanno scoperto anche documenti che attesterebbero pericolose “amicizie” intrattenute dai due fratelli nell’ambiente dell’ndrangheta, oltre a mille euro in contanti.
Tra i nomi emersi infatti c’è Maurizio Cavedo, un ex agente della polizia stradale di Cremona e noto trafficante di droga, arrestato nel gennaio 2015 sempre nel corso dell’operazione Aemilia. Cavedo era stato fermato in Venezuela mentre tentava di portare in Italia 13 chili di cocaina e si trova ora rinchiuso nel carcere di Caracas. E ancora, nei documenti sarebbero presenti i nomi di personaggi, sempre indagati o arrestati nell’ambito dell’operazione antimafia, alcuni dei quali residenti a Castelvetro, in provincia di Piacenza. “Su questo aspetto stiamo ancora effettuando accertamenti per capire quali siano davvero i legami tra i due fratelli e la malavita organizzata, in particolare la ‘ndrangheta calabrese” ha aggiunto il capitano dei carabinieri di Fiorenzuola.
Il blitz è stato possibile nell’ambito dell’operazione Aemilia, che nei mesi scorsi ha portato a 117 richieste di custodia cautelare, 200 indagati e 100 milioni di euro di beni confiscati, oltre 50 persone accusate di associazione di stampo mafioso con reati che che vanno dall’estorsione, all’usura, all’impiego di denaro proveniente da delitto. Nel mirino, insomma, il clan calabrese Grande Aracri di Cutro, in provincia di Crotone, ma da anni presente con cellule in Emilia Romagna e in particolare nel Piacentino, nella zona, appunto, tra Castelvetro e Monticelli.