Cucina

Gualtiero Marchesi: “I ragazzi sognano di diventare chef? Meglio quando aspiravano ad essere calciatori. La cucina non è un gioco”

Il grande chef si racconta a FQ Magazine, dal primo innamoramento per la cucina, al ristorante Kulm di Saint Moritz, ai consigli per preparare ottimi pasti: "L'importante per un piatto, oltre agli ingredienti? Le cotture. Siamo il Paese dello stracotto. Ho fatto fatica all’inizio, tutti mi dicevano: "ma non è ben cotto". Io rispondevo "cotto bene" è diverso da "ben cotto""

di Barbara Giglioli

Un sorriso costante e due occhi svegli che scrutano in profondità. Le pupille si muovono veloci alla ricerca di un’idea. Sempre. Perché il segreto è saper leggere il mondo e metterlo nel piatto. Si deve rubare ispirazione da quello che ci circonda, senza svelare la matrice di quella scintilla. Perché “il segreto delle tue idee è non rivelare la tua fonte”. E a dirlo è Gualtiero Marchesi, il Maestro. “Se ti apostrofano, chiamandoti maestro, non c’è da gongolare troppo, semmai da stringere i denti e sentirti, nuovamente e a qualsiasi età, come il primo degli scolari”. E dopo questa risposta, l’appellativo “maestro” se lo merita tutto.

Gualtiero Marchesi iniziamo da un argomento caldo. Lei, uno degli chef più famosi al mondo, cosa pensa di Expo?
Non posso dimenticare le frasi del mio Presidente del Consiglio e tutto quello che è stato fatto, anche con grande sofferenza. Crediamoci e rimbocchiamoci le maniche per far bella figura, perché è un’occasione più unica che rara. Abbiamo gli occhi del mondo puntati su di noi, perciò smettiamola di fare scioperi e manifestazioni. Cerchiamo di essere il più ospitali possibile e vediamo di non fare stupidaggini.

E’ una grande opportunità per gli chef. Sarà per questo che i ragazzi non sognano più stare sul campo da calcio, ma di lavorare in cucina?
Forse era meglio che continuassero a sognare di fare i calciatori. La cucina non è una cosa così facile come tutti pensano. E’ chimica, fisica. E’ collegata alla salute delle persone. Non è un gioco e poi è un mestiere di sacrificio.

Ma Maestro, qual è il suo migliore allievo?
Io.

Metta di dover uscire una sera a cena. Da chi va?
Ce ne sono tanti bravi ma non riesco mai ad avere il tempo per andare da nessuno. Credo di aver seminato bene, tanto è vero che sono molti i miei allievi sulla cresta dell’onda. Quello che dico sempre è che dopo la scuola bisogna però rimboccarsi le maniche e girare il mondo.

Lei che tipo è a tavola?
Sono un goloso castigato. Con il tempo e con gli anni non mi abbandono più come prima alle mangiate. In realtà mi è sempre piaciuta una cucina raffinata ed elegante, una cucina semplice. Solo così si scoprono i veri sapori delle materie prime.

Oltre agli ingredienti cos’è importante per un piatto?
La precisione nelle cotture.

Noi tendiamo a stracuocere tutto, vero?
Sì, è vero. Siamo il Paese dello stracotto. Ho fatto fatica all’inizio, tutti mi dicevano: “ma non è ben cotto”. Io rispondevo “cotto bene” è diverso da “ben cotto”.

Come mai i grandi chef sono quasi tutti uomini?
Ci sono anche delle donne che stanno emergendo. La grande cucina è quella professionale, che i francesi hanno codificato sulle leggi giuste. Poi c’è anche la cucina buona che sanno fare meglio le donne degli uomini.

Perché?
Perché più le donne, degli uomini, lavorano con amore. La buona cucina era quella delle mamme e delle nonne, perché cucinavano con il cuore.

Qual è i suo piatto del cuore?
Non mi si taccia di semplicità. La cucina è arte e l’arte è semplicità. Il piatto al quale sono più legato è l’insalata di spaghetti, raffreddati, con caviale ed erba cipollina. Lo spaghetto mette in risalto il caviale, ma il caviale, a sua volta, ha bisogno dello spaghetto.

C’è qualcosa che non le piace mangiare?
I piatti sbagliati.

Tutti i piatti fatti bene sono buoni?
Sì, tutto è buono se fatto con il cuore. I piatti si possono giudicare tecnicamente, ma non si può dire che siano cattivi perché non ci piacciono. La scienza è oggettiva, il gusto è soggettivo.

Maestro, ma lei cosa voleva fare da bambino?
Disegnavo bene, ma mia madre invece di mandarmi a Brera mi ha mandato alla Feltrinelli, la scuola di perito tecnico meccanico industriale. Naturalmente mi hanno bocciato. Allora mia mamma si è rifatta mandandomi al Kulm, l’albergo più costoso e lussuoso di Saint Moritz. Lì, incantato dall’eleganza del posto, decisi che il mio mestiere sarebbe stato quello del cuoco. Forse avevo già dentro di me l’eleganza imparata da mia madre, una donna che comandava con dolce fermezza.

Come reagì sua madre alla sua decisione?
Mi mandò prima a Lucerna alla scuola svizzera tedesca a fare una scuola di commercio per imparare le lingue e poi, solo in seguito, alla scuola alberghiera sempre di Lucerna. Devo dire, e forse lo dico per la prima volta, che all’inizio non ero così appassionato. Sono tornato e mi sono messo a lavorare con i miei, ad andare a teatro. Ho conosciuto una pianista e mi sono messo a studiare pianoforte. Ma a un certo punto la pianista ha notato che ero distratto.

E cosa la distraeva?
La cucina. Capii che quella era la mia strada.

Cosa fece allora?
Mollai tutto, sposai la pianista e iniziai a leggere molto. Avevo bisogno di imparare la tecnica in cucina. C’è una frase bellissima che dice “il segreto delle tue idee è non rivelare la tua fonte”.

Lei è stato un uomo inquieto maestro. A quarant’anni ha cambiato vita.
Sì. Con una moglie e due figlie piccole decisi di chiudere il capitolo del ristorante familiare e di trasferirmi in Francia per studiare. Un consiglio che ho dato poi a tutti i miei allievi più bravi.

Una vita dedicata alla cucina.
Sì, piena di soddisfazioni. Questo è Gualtiero Marchesi, lo chef che ha avuto la clientela più bella del mondo.

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