Con il "bonus Poletti" i titolari di assegni poco più alti di tre volte il minimo si vedranno restituire il 40% del mancato adeguamento all'inflazione. La percentuale scende al 20% per chi ha un trattamento tra 1.800 e 2.300 euro e al 10% per la fascia superiore. Ecco come funziona e che cosa fare se si intende tentare la strada del ricorso per riavere tutta la cifra persa
Il rimborso, come spiegato dal presidente dell’Inps Tito Boeri, sarà automatico. I pensionati che per effetto della sentenza della Corte costituzionale hanno diritto a quello che il premier Matteo Renzi ha definito “bonus Poletti” se lo vedranno quindi aggiungere all’assegno previdenziale di agosto, senza bisogno di fare domanda. Ma a quanto ammonterà esattamente l’arretrato riconosciuto e quanto ci si perderà rispetto all’adeguamento integrale al costo della vita del trattamento, previsto prima della norma Fornero bocciata dalla Consulta? Come verrà tassato? E l’anno prossimo di quanto sarà arrotondata la pensione?
Per il biennio 2012-2013 si recupera al massimo il 40% del dovuto – Innanzitutto, vediamo che cosa prevede il decreto varato il 18 maggio dal Consiglio dei ministri per compensare i pensionati dell’inflazione che si è registrata nel 2012 e 2013, gli anni per i quali il decreto salva Italia del governo Monti aveva bloccato l’adeguamento al costo della vita. Il tasso di inflazione nei due periodi è stato, rispettivamente, del 3% e dell’1,2%. Coloro che nel 2011 (la pietra di paragone resta quella) ricevevano trattamenti da tre volte il minimo, cioè poco più di 1.400 euro, fino a 1.860 euro lordi se ne vedranno accreditare in agosto fino a 780 in più. Per esempio al titolare di una pensione di 1.450 euro, subito sopra il tetto oltre il quale l’indicizzazione era stata congelata, spetteranno 635 euro lordi, mentre chi è a quota 1.600 se ne vedrà accreditare poco più di 700. Si tratta di una somma pari al 40% dell’arretrato dovuto per il biennio. Il dato scritto nel testo del provvedimento corrisponde ai calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo indipendente che ha il compito di assicurare la trasparenza e l’affidabilità dei conti pubblici: secondo i suoi analisti un pensionato tipo con assegno pari a 3,5 volte il minimo (1.634 euro) ha accumulato nel 2012 e 2013 circa 1.780 euro di arretrati. In base al decreto ne riceverà 710, pari appunto al 40%. Occorre però considerare che il bonus sarà soggetto a tassazione. Per quanto separata, cioè calcolata sulla base dell’aliquota media più favorevole di quella marginale e senza applicare le addizionali locali. Per il “pensionato tipo” da 1.634 euro al mese l’aliquota media è del 19%, per cui al netto ne intascherà 575.
La rivalutazione riconosciuta, stando alle simulazioni de Il Sole 24 Ore, raggiungerà il livello massimo (oltre 800 euro lordi) per le pensioni di 1.850-1.900 euro lordi. Oltre questa soglia, il rimborso cala progressivamente. In generale, per i pensionati con trattamenti tra 1.800 e 2.300 euro il recupero si ferma al 20% dell’inflazione del biennio: riceveranno tra 780 e poco più di 500 euro. La fascia subito superiore, tra 2.300 e 2.800 euro di pensione, prenderà invece in agosto tra 500 e 300 euro, un decimo del dovuto. Al di sopra dei 2.886 euro lordi di pensione 2011, i titolari in base al decreto del governo resteranno a bocca asciutta.
Nel 2014 e 2015 rimborso del 20% di quanto previsto per il periodo di blocco – La percentuale di recupero sugli arretrati, poi, scende di un bel po’ se si considera anche che cosa succederà per gli anni successivi, 2014 e 2015. Che dal blocco non sono stati colpiti direttamente, ma solo a causa dell’effetto trascinamento della mancata rivalutazione di 2012 e 2013: i pensionati in pratica si sono visti adeguare all’inflazione un assegno già in partenza più basso perché per un biennio era stato congelato. Per chiudere la partita, l’esecutivo ha stabilito di versare solo il 20% di quanto previsto per il biennio precedente. Cioè il 20%, rispettivamente, sul 40%, 20% e 10% di recupero. Come dire l’8%, il 4% e il 2 per cento. Le somme che ne risultano sono molto contenute: 45 euro per le pensioni pari a tre volte il minimo, che salgono a 59 euro per quelle che nel 2011 erano di 1.900 euro e scendono poi progressivamente all’aumentare dei trattamenti. I pensionati da 2.850 euro ne prenderanno solo 22. Poi il recupero si azzera. Dal 2016, poi, i trattamenti pensionistici saranno incrementati nella misura del 50% di quanto stabilito per le mensilità del biennio 2012-13. Anche in questo caso di tratta del 50% sul 40%, 20% e 10% riconosciuto rispettivamente alle diverse fasce per il biennio di blocco.
Gli assegni più alti perdono fino al 90% della rivalutazione che spetterebbe – L’Ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato che il pensionato tipo, quello appunto che riceve un assegno di 3,5 volte il minimo, ha accumulato nel 2014 ulteriori arretrati per 1.226 euro, che salgono a 1.230 quest’anno. Ora ne incasserà 710 di “bonus Poletti” più una cinquantina per il 2014 e 2015, per un totale al netto delle tasse di circa 615 euro. La metà di quanto perso tra il 2012 e quest’anno. Chi invece nel 2011 prendeva un assegno più rotondo, di 2.500 euro lordi, ne riceverà circa 236 netti. Contro gli oltre 1.800 persi secondo l’Upb. In questo caso, quindi, il recupero si ferma a un misero 13 per cento. Tutto considerato, i titolari degli assegni più alti arrivano a perdere fino al 90% del rimborso spettante in base alla sentenza della Consulta.
E Adusbef diffonde il modulo di diffida per chi vuole chiedere rimborso totale – Per chi invece volesse tentare comunque di chiedere il rimborso totale di quanto perso a causa del decreto del 2011, l’associazione dei consumatori Adusbef ha reso disponibile sul proprio sito il fac simile della diffida da inviare all’Inps. Il modulo fa riferimento al fatto che la norma dichiarata incostituzionale “deve considerarsi espunta dall’ordinamento con effetto retroattivo dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale”, per cui “con decorrenza 7 maggio 2015 l’ente intimato era tenuto alla restituzione delle somme indebitamente trattenute oltre agli interessi maturati mediante accredito sul conto già impiegato per l’accredito dell’assegno pensionistico”. Mentre “a tutt’oggi nulla è pervenuto”, per cui “deve codesto ente considerarsi inadempiente a tutti gli effetti di legge”. Il documento va compilato indicando l’ammontare della decurtazione subita a partire dal gennaio 2012 e inviato tramite raccomandata o Pec alla sede centrale dell’Inps (via Ciro il Grande 21, 00144 Roma) e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma.