Ambiente & Veleni

Announo e gli allevamenti intensivi in Italia: l’informazione può fare di più

Giovedì scorso, su La7, si è verificato qualcosa di mai visto nel nostro paese: un programma nazionale, Announo, ha dedicato in prima serata una puntata agli allevamenti intensivi di suini in Italia. Sì, proprio in Italia, non dunque, come era già accaduto, in Germania o Est Europa, dove, “si sa”, “trattano tanto male gli animali”, in paragone al nostro Paese, patria del made in Italy di qualità.

Il programma ha mostrato immagini recentemente girate dalla giornalista Giulia Innocenzi in alcuni allevamenti di maiali della pianura padana: ne è emersa una galleria agghiacciante di animali ammassati in capannoni bui, sudici e lasciati alla più totale incuria, abbandonati morti negli angoli o malati senza cure, con le code mozzate e senza alcuna traccia dell’arricchimento ambientale necessario ai suini per esprimere i loro comportamenti naturali (ad esempio la paglia).

Quello che non è stato detto nel programma, però, è che questa non è la prima volta che vengono documentate condizioni simili: già due anni fa, l’associazione per cui lavoro, CIWF, aveva raccolto immagini molto simili in una video-inchiesta in 11 allevamenti di suini italiani (scelti randomicamente) a cui era seguita una campagna, Sonodegno, sottoscritta da oltre 66.000 cittadini italiani.

La nostra inchiesta aveva evidenziato la non conformità degli allevamenti di maiali in Italia alla direttiva europea 2008/120/CE per la protezione dei suini (recepita in Italia dal Decr. Legsl. 122/2011), per quanto riguarda l’obbligo di fornire agli animali una zona pulita in cui coricarsi, il divieto di mozzare sistematicamente la coda e l’obbligo di fornire un arricchimento ambientale adeguato. Queste pratiche, oltre a causare estrema sofferenza agli animali, sono pertanto illegali.

La storia non si ferma qui perché naturalmente come CIWF scrivemmo al Ministero della Salute, competente per il benessere animale, per denunciare quanto avevamo documentato, con tanto di conferenza stampa in Senato, e vennero presentate interrogazioni allo stesso Ministero da diversi parlamentari. In particolare, nello stesso 2013, quella a prima firma Silvana Amati (Pd) ricevette una risposta assolutamente non pertinente, mentre quella a prima firma Chiara Gagnarli (M5S), dell’estate 2014, che chiedeva di quantificare gli allevamenti non conformi alla direttiva, non ha mai ricevuto risposta nonostante i ripetuti solleciti.

Che il Ministero non abbia preso in considerazione la nostra denuncia, è anche evidente dalle immagini di Announo: in due anni, purtroppo, nulla è cambiato, anzi. E quindi il programma ha fatto benissimo a evidenziare le falle del sistema dei controlli sul benessere animale in Italia e quella, diciamo, “inclinazione” a non sanzionare o tollerare chi non rispetta le normative.

E per i suini le cose potrebbero persino peggiorare se un documento voluto dall’industria fosse approvato in sede europea. A questo proposito, vi invito a firmare la petizione che abbiamo appena lanciato su Change.org.

Ma ritorniamo al programma. Chi scrive è dell’opinione che la puntata di Announo abbia avuto anche delle criticità. A mio parere, infatti, la trasmissione è stata un’occasione mancata per approfondire il tema della vera alternativa all’allevamento intensivo, che non è, allo stato attuale delle cose, diventare tutti vegani (una vera utopia al momento), ma, invece, migliorare il benessere animale negli allevamenti, garantendo in primis il rispetto della legge e andando anche oltre la legge stessa, riducendo, ad esempio, le densità ovvero il numero di animali allevati.

Dispiace quindi che al pubblico, per la stragrande maggioranza della trasmissione, sia stato proposto come “difensore degli animali” un ragazzino pieno di buoni propositi, ma con idee tanto estremiste quanto irrealistiche-opposto ad un allevatore intensivo per cui i propri maiali erano “felici”.

Una forte polarizzazione dunque, in cui chi, tra i cittadini-consumatori (la maggioranza), non è disposto a rinunciare al consumo di carne, ma non vuole certo prodotti di animali tenuti in quelle orribili condizioni, ha fatto fatica a ritrovarsi. Il cambiamento su larga scala non può avvenire dall’oggi al domani e criminalizzare la controparte e proporre come unica alternativa all’allevamento intensivo la rinuncia totale agli alimenti di origine animale (come fanno alcune organizzazioni e proponeva il giovane in studio) è controproducente in primis per gli animali stessi, che continuano a soffrire, come si è visto, nel buio degli allevamenti intensivi.

CIWF, invece, è disposta a collaborare con quei produttori e quelle aziende che vogliono veramente introdurre il benessere animale nelle loro filiere. Molti dei colleghi che lavorano su questo fronte sono proprio vegani. Essi hanno capito che così possiamo migliorare concretamente le condizioni di vita di milioni di animali ogni anno, risparmiando loro inutili sofferenze. E forse a qualche integralista non importa, ma per gli animali certamente fa la differenza.

Il programma ha anche affrontato i temi degli impatti degli allevamenti intensivi sull’ambiente, mostrando alcune inquietanti (e, direi, anche veramente disgustose) immagini di liquami derivanti dagli allevamenti suini- anche qui, però, purtroppo con troppo poco approfondimento, a favore di una discussione tra sordi. Non è stato inoltre affrontato il problema della deforestazione crescente, provocata dalla necessità di trovare sempre più spazio per le coltivazioni di soia, spesso Ogm, ingrediente principale dei mangimi per gli animali da allevamento, e del conseguente grave fenomeno dei cambiamenti climatici che tanto sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte popolazioni del pianeta.

Gli impatti sulla salute umana dei sistemi intensivi, che avrebbero meritato un adeguato approfondimento, sono stati invece menzionati solo a latere, privando dunque il pubblico di importanti informazioni sull’uso di antibiotici negli allevamenti e del conseguente rischio di sviluppo di batteri antibioticoresistenti.

Tuttavia, nel complesso, il programma ha avuto il notevole merito di fornire informazione al pubblico italiano su un tema che sembra quasi tabù nel nostro paese: cosa c’è, troppe volte, alle spalle del made in Italy così tanto osannato e difeso a spada tratta proprio da (quasi) tutti. Tanto più in questo periodo di Expo.

E ha anche rammentato agli spettatori una cosa importantissima: che anche i suini sono animali, esseri senzienti, che hanno almeno diritto ad una vita degna di essere vissuta, anche e soprattutto quando sono allevati per produrre cibo.

Concludo con un consiglio tratto da Farmageddon, il vero prezzo della carne economica scritto dal direttore di CIWF International Philip Lymbery, e la cui lettura consiglio a tutti, e soprattutto a chi consuma carne: “comprate cibi cresciuti sulla terra-prodotti in fattorie, non in fabbriche”.