Cinema

Fury, l’eco (lontana) di Spielberg e Malick nel film di David Ayer. Con Brad Pitt e Shia La Boeuf

La guerra continua ad essere fonte di ispirazione per il cinema e il 2 giugno arriva nelle sale italiane il dramma bellico del regista che, dopo aver scritto e diretto polizieschi tra cui Training day, si dedica alla crudeltà e alla violenza del secondo conflitto mondiale

di Letizia Rogolino

“È un mondo spietato, figliolo: bisogna tener duro fino a quando passerà questa mania della pace” diceva Matthew Modine nei panni del soldato Joker nel celebre Full Metal Jacket, film del 1987 diretto da Stanley Kubrick. La guerra continua ad essere fonte di ispirazione per il cinema, e il 2 giugno arriva nelle sale italiane Fury, il nuovo dramma bellico di David Ayer che, dopo aver scritto e diretto polizieschi, si dedica alla crudeltà e alla violenza del secondo conflitto mondiale.

Brad Pitt interpreta Don “Wardaddy” Collier, un sergente indurito dalla guerra che guida i suoi uomini nel cuore della Germania nazista nel 1945. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale i tedeschi fanno gli ultimi tentativi di resistenza e i soldati americani in inferiorità numerica, cercano di sopravvivere con coraggio e arguzia. Wardaddy può contare su Boyd “Bible” (Shia La Boeuf), il predicatore che imbraccia le armi per una “giusta causa”; Grady “Coon-Ass” (Jon Beranthal) il soldato cinico e animalesco; e Trini “Gordo” (Michael Peña). Quando arriva Norman Ellison (Logan Lerman), il novellino che deve essere iniziato a quel terrore, il sergente entra in conflitto con se stesso e i suoi compagni di sventura, fino a riscoprire il suo lato più umano e paterno.

Lo sceneggiatore di Training Day racconta sul grande schermo l’esperienza psicologica della guerra, realizzando un film viscerale e ruvido, in cui i personaggi affogano nel fango e sono tenuti in ostaggio nell’ambiente claustrofobico del carro armato, con il quale si spostano lungo il paese nemico. Brad Pitt sembra richiamare il ruolo di Aldo Reine in Bastardi Senza Gloria di Quentin Tarantino, senza aggiungere nulla di nuovo alla sua interpretazione. Mentre il giovane Logan Lerman risulta naturale e intenso nei panni del giovane soldato che deve fare i conti con i suoi principi etici e morali a favore della sopravvivenza. Molti registi hanno raccontato la guerra sotto vari punti di vista. Ayer ha scelto uno stile di regia e una struttura narrativa in cui si avverte l’eco del cinema di Steven Spielberg e di Terrence Malick, con scene coinvolgenti accompagnate da una colonna sonora epica che aiuta l’effetto finale del film. Tuttavia l’azione risulta appesantita dalla paura del regista di sperimentare e di introdurre una nota personale a Fury, che ristagna nella retorica e in una classicità tematica esplicita. La sceneggiatura è lineare, ma risente di un montaggio sconnesso in cui i personaggi rispecchiano soltanto alcuni stereotipi del genere.

Fury è un film bellico che coinvolge ed emoziona con ritmo alternato, ma non lascia il segno nel panorama cinematografico che ha descritto più volte la guerra con una chiave di lettura migliore e più efficace. Il dolore, la povertà e la desolazione delle vittime e dei luoghi di questi conflitti che si consumano ancora oggi in varie forme e dimensioni, offrono tante possibilità di espressione al linguaggio dell’arte. Il merito di Ayer è di aver limitato la presenza di esplosioni ed incessanti scontri a fuoco per lasciare spazio alle relazioni umane tra i protagonisti, raccontate dai loro sguardi per una dimensione intimista della guerra. La storia di un gruppo di soldati ordinati come una bizzarra famiglia orientata verso un destino di sacrificio, non aggiunge colore allo sfondo grigio e umido di un paese distrutto e umiliato dalla stupidità umana come più volte raccontato.

Il trailer di Fury

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