Prologo. Hotel Camin Colmegna, Luino, provincia di Varese. Giornata splendida. Una cameriera avvicina Philippe Gilbert, l’ex campione del mondo: “Vede quella collina laggiù? Da lì comincia la salita dell’Orogno, vedrà che bella…”. Gilbert sorride. A lui, più che la salita, interessa la lunga discesa al traguardo: “E’ una tappa che si vince partendo da lontano, con la fuga buona…”. Il belga Gilbert abita a Montecarlo e possiamo immaginare i motivi di questa scelta, corre inoltre per la Bmc, una squadra svizzera che ha in Damiano Caruso (settimo) il suo uomo di classifica. Insomma è blindato sul fronte fiscale, ma è uno che ha anche vinto tantissimo (e quindi guadagnato altrettanto).
In questo Giro, per esempio, è arrivato primo nella tappa del Monte Berico, a Vicenza, con uno scatto sullo strappo finale da grande finisseur. E’ stato campione del mondo a Valkenburg nel 2012, e vanta nel suo carnet uno sterminato numero di corse che da sole consacrano una carriera: come l’Amstel Gold Race, la Freccia Vallone, la Liegi-Bastogne-Liegi, il Giro di Lombardia, quello del Piemonte. Compirà 33 anni il 5 luglio. Ha due figli, parla un buon italiano. La cameriera gli chiede l’autografo, gli augura di vincere ancora: “Quel che vorrei anch’io”, replica lui, sfoggiando un sorriso alla Durban’s. Al via da Melide sono rimasti in 169. L’andatura iniziale è buona. In testa, c’è effervescenza. Scatti e controscatti. Il gruppo risponde sempre. Alla fine, però, è costretto a cedere. Filano via in quattordici: Chavanel, che aveva già provato un paio di volte a scappare, Nocentini, Busato, De la Cruz, il lamprotto Ferrari, il redivivo Damiano Cunego, Villella, Haga, Belkov, Siutsou, Weening, Bongiorno. E Gilbert, con il compagno Moinard. Come pianificato al Camin Colmegna…
Cade Ferrari, che riparte. Cade brutto, purtroppo, al chilometro 47 (e poi dite che non bisogna temere certi numeri) Cunego. Resta sull’asfalto, dolorante. Frattura scomposta alla clavicola destra, più una serie di contusioni all’anca, al ginocchio, e, dulcis in fundo, sospetto trauma cranico. Lo portano all’ospedale di Gallarate. Fine del suo Girum. Guai a distrarti un attimo, anche in una tappa di quelle che in teoria non dovrebbero “far male”. Chiaro che si tratta infatti di una frazione per specialisti di corse da un giorno. Da Melide a Verbania, c’è un’impegnativa salita (quella dell’Orogno, 931 metri di dislivello, pendenza media del 9 per cento, con punte del 13) e un altro paio di strappetti, ma pure una lunga discesa di oltre tredici chilometri, quella che tanto piace a Gilbert…che non a caso si è abilmente accomodato in quella che ritiene la fuga giusta, quella che i francesi chiamano l’échappée belle. Tra gli altri fuggitivi, l’unico che potrebbe impensierirlo è un bravissimo ragazzo di Calabria che ora vive in Toscana e si chiama Francesco Manuel Bongiorno. In salita è temibile, l’anno scorso stava vincendo allo Zoncolan quando uno stupido tifoso l’ha fatto cascare. L’amico scrittore e collega Marco Pastonesi mi confida che avrebbe già l’inizio del pezzo, nel caso Francesco Manuel vincesse lui la tappa: “Signore e signori, Bongiorno…”.
Pastonesi ha appena pubblicato un delizioso libro dedicato ad un grande gregarione, Renzo Tanazzi che fu anche una volta maglia rosa, nel Giro del 1947 quando la indossò per tre giorni. Diavolo di un corridore (Italica edizioni, 15 Euro) attraversa, pigliando spunto della storia di Tanazzi, la storia del ciclismo di Coppi, Bartali, Magni e Malabrocca, dai tempi della Resistenza a quelli altrettanto eroici della Ricostruzione, dall’Italia sofferente dei tempi di guerra a quelli esaltanti della speranza e di uno sport che allora era più popolare del calcio. Marco ama questo sport, nel 2006 è andato in Burkina Faso (l’ex Alto Volta, dove contrasse la malaria Fausto Coppi, nel Natale del 1959, durante una partita di caccia insieme all’amico Raphael Geminiani). Lì si disputa il Tour du Faso, la più prestigiosa corsa a tappe africana.
Perché ve ne parlo? Perché non solo Pastonesi ha scritto un esilarante resoconto, “la corsa più pazza del mondo” (Ediciclo, 2007), ma perché il nostro amico etiope Tsgabu Gebremaryam Grmay l’ha disputata nel 2013, conquistando una tappa e il secondo posto della classifica generale. Non è soltanto una corsa ciclistica, è una vera e propria avventura umana, in mezzo ad una festa nazionalpopolare, “un viaggio nel mistero”, mi dice Pastonesi, “in cui i partecipanti di questa competizione scoprono la vita, scoprono il mondo, e vivono la loro ora di gloria”.
Bongiorno avrebbe voluto viverla anche lui la sua ora di gloria. Ma Gilbert è troppo forte. La vittoria è sua: “L’avevamo staccato sull’Orogno, pensavo di avercela fatta. Invece lui ci ha ripreso in discesa, a meno di dieci chilometri dal traguardo è partito sulla destra della strada, lanciato come un missile, non ci ha nemmeno guardato in faccia, è partito via e non l’abbiamo più visto”, racconta Bongiorno, che si è piazzato secondo, “avrei voluto vincere io, ma sono stato battuto da una grande campione, un vero signore di questo sport, uno simpatico, correre con lui è già un grande onore, è uno dei miei idoli”.
Gilbert è un nobile vincitore, nella gerarchi del ciclismo: gli è riuscito il bis. E’ uno dei corridori più amati dal gruppo, parteciperà alla Vuelta spagnola per preparare il Mondiale di Richmond, negli Stati Uniti, di cui è uno dei favoriti. In corsa, Gilbert è un Maigret del pedale, intuisce la trama del delitto, ossia la strategia della giornata. Come il conterraneo Simenon, ama la razionalità e la cura dei dettagli. Gli basta un’occhiata per intuire le mosse degli avversari. Ed è ironico, spiritoso, come i fumetti dell’immortale Hergé, creatore di Tintin: “Oggi è la prima volta, dopo una durissima salita, che vedo arrivare Contador…”.
Appunto, Contador. Sempre più padrone del Giro. Uno che non perdona gli sgarbi: come nella discesa dell’Aprica. Un incidente meccanico aveva appiedato Alberto. Il cambio di ruota l’aveva costretto ad un inseguimento tanto spettacolare quanto dispendioso. Mikel Landa Meana aveva vinto la tappa, dopo il Mortirolo, rifilando alla maglia rosa 42 secondi più l’abbuono. Contador aveva abbozzato, ma non apprezzato. La condotta dell’Astana era stata piuttosto cinica. Subdola. La vera posta in palio non è questo Giro, dove non c’è storia, a meno di clamorosi incidenti. Bensì il Tour de France. Il nemico è sempre lo stesso. Contador ha infatti detto di volere l’accoppiata Giro-Tour. L’Astana ha tentato di opporsi in questo Giro estremizzando la corsa, tirata fin dai primi metri della prima tappa. Ma Fabio Aru non era nelle condizioni fisiche migliori e alla fine ha pagato pegno. Né Landa appare in grado di contrastare in salita più di tanto la maglia rosa. Però l’Astana può rendere dura la vita a Contador. Può comunque costringerlo a spremersi come un limone, e rendergli il recupero in prospettiva Tour più complicato del previsto. Perché al Tour l’Astana vuole tutelare le chances di Vincenzo Nibali. Ecco la ragione del furibondo attacco prima del Mortirolo…
Ma chi la fa l’aspetti. Succede che una caduta collettiva, in mezzo al plotone, faccia saltare piani e strategie. Perché stavolta ci vanno di mezzo gli astanesi Davide Malacarne, Paolino Tiralongo e soprattutto Landa. Non si fanno male, per fortuna. Ma perdono terreno. Quelli della Tinkoff di Contador si scatenano: l’ordine di El Vindicator è perentorio, facciamogliela pagare. Così, i gialli della Tinkoff spingono i rapportoni, tarellano a tutta birra. Il primo a pagare il conto è Fabio Aru. Poi, quasi tutti i migliori della classifica. La vendetta è servita sull’asfalto dell’Orogno, quando El Vindicator mette il turbo (speriamo che non ci siano ruote truccate…) e fila via, per restituire il maltolto, se possibile, con gli interessi, mollando i compagni.
La salita punisce sette dei dodici in fuga. Restano in testa Bongiorno, De la Cruz, Moinard, Nocentini e Siutsou. Gilbert e Chavanel sono leggermente staccati. Più indietro, gli altri. Contador è a 8 e 14”. Il canadese Ryder Hesjedal a 8’38”. Il gruppetto di Aru a 9’07”. Landa a 9 e 16”.
La dinamica è chiara. C’è la fuga per la vittoria. E la fuga per la punizione di Landa. Con Hesjedal che tra i tanti litiganti vuol recuperare qualcosa e va a raggiungere Contador. Il passaggio al Gran Premio della Montagna vede transitare per primo Bongiorno davanti a Siutsou, De la Cruz e Moinard. A 58” ci sono Gilbert e Chavanel. Contador e Hesjedal a 7’43”, a 8’53” il gruppetto con Aru e Landa. Bongiorno tenta, lui che non è un grande discesista, la picchiata della vita. L’attacco va a vuoto. Gilbert e Chavanel sono raggiunti da Nocentini e Busato. A venti chilometri dal traguardo, i quattro con Gilbert raggiungono Bongiorno e soci. Gilbert respira per qualche minuto, parlotta col fido Moinard: “Guardami adesso, che pianto tutti”.
Così fa. Così è. L’ultima curva è quella dell’Eden di Verbania. Il giardino del paradiso ciclistico si conclude con il trionfo del belga che negli ultimi tre chilometri dispensa sorrisi e saluta la folla, Bongiorno è secondo a 47 secondi (il numero della sconfitta). A Verbania dodicesimo è Contador, preceduto da Hesjedal: i due guadagnano un minuto e 13 secondi a Landa, Aru, Caruso, Konig, Visconti, Trofimov, Kruijswijk, Geniez (non nell’ordine), cioè Contador si mette in tasca il Giro. La lezione di El Vindicator è stata chiara: “Non vi conviene farmi arrabbiare”. Invece di aspettare i salitoni del tremendo week end alpino, El Vindicator ha anticipato i giochi. Landa ha pagato lo sforzo del Mortirolo. Aru vuol difendere il podio. Hesjedal punta ad avvicinarvisi. Il resto spera nelle “cotte” degli altri. E Tsgabu?
Male, male. Arrivato con gli ultimi, 155esimo a 22 minuti e 51 secondi da Gilbert. In classifica è 89esimo, a 3 ore 04’24” da Contador, lo stesso distacco dell’olandese Pieter Weening che tuttavia a Verbania è arrivato decimo. Solo che in classifica è novantesimo, dietro il nostro volonteroso amico etiope, ormai a due passi – molto ardui, è vero – dalla meta, quella di terminare il suo primo Giro d’Italia. Beppe Saronni, il team manager della Lampre, è comunque assai contento dei suoi uomini: “La mia squadra è planetaria”, nei suoi ranghi ci sono atleti di dodici paesi, compreso Cina ed Etiopia, come ben sappiamo, “il ciclismo di oggi è questo. Xu Gang, di Shangai, si è dovuto ritirare per colpa di una bronchite. Ha pianto per ore. La settimana prima del Giro era venuta una troupe televisiva cinese per raccontare la sua storia…”. Xu Gang è rimasto al seguito del Giro, appena guarito tornerà ad allenarsi tra Como e Lugano. Gli capita spesso di farlo con Diego Ulissi e lo stesso Contador. Quattro vittorie, per il momento, sono il bottino più lucroso di squadra, a questo Girum. Per la felicità del patron Mario Galbusera. In fondo, la Lampre – la più presente al Giro, dal 1991 ad oggi sono ventidue presenze – è l’unica squadra italiana del circuito Pro Team. E’ un’arte resistere tanto, quando gli avversari sono multinazionali che possono spendere tre o quattro volte di più.