Dopo il “no” della Procura di Taranto alla prima ipotesi di patteggiamento, i legali dell’Ilva sono costretti a chiedere di allungare i tempi dell’udienza preliminare pur di continuare a sperare nell’ipotesi di patteggiamento. Ottenuto il via libera dal comitato di Sorveglianza, ma sempre in attesa di quello del ministero per lo Sviluppo economico, gli avvocati del commissario Pietro Gnudi hanno infatti chiesto e ottenuto dal giudice Vilma Gilli, che dovrà decidere sul rinvio a giudizio dei 49 imputati e delle 3 società (Ilva spa, Riva Fire e Riva Forni Elettrici) nel procedimento “Ambiente svenduto”, un rinvio fino al prossimo 1 luglio. Un’ultima possibilità, quindi, per studiare una nuova proposta da sottoporre al pool di inquirenti guidati dal procuratore Franco Sebastio.
Pochi giorni fa era stata l’ex ministro Paola Severino, che dopo aver firmato un decreto Salva Ilva è diventata consulente legale dell’Ilva a gestione commissariale, a sottoporre una prima bozza ai magistrati tarantini che, però, hanno ritenuto la proposta inaccettabile. L’ex Guardasigilli, infatti, aveva offerto il pagamento di una sanzione pecuniaria di 3 milioni e 98mila euro, l’interdizione di 8 mesi che però non sarebbe stata applicata dato il commissariamento dell’azienda e la necessità di assicurare la continuità produttiva dell’azienda che altrimenti avrebbe avuto enormi ricadute occupazionali e infine l’esclusione della confisca di beni dell’Ilva visto che in realtà questa non avrebbe goduto “di alcun vantaggio patrimoniale”, ma sarebbe stata “strumentalmente asservito agli scopi illeciti del sodalizio criminoso in epoca passata, ha riportato conseguenze dannose e pregiudizievoli sul piano economico gestionale”.
In sostanza per i legali dell’Ilva commissariale, come già anticipato dal Fatto nei giorni scorsi, Ilva è stata vittima della famiglia Riva che avrebbero, attraverso un accordo di cash pooling, fatto transitare i profitti della fabbrica nelle casse della Riva Fire che controllava Ilva spa. Un punto sul quale, però, i magistrati ionici non avrebbero voluto sentire ragioni. E così lo staff di legali dell’Ilva commissariata sarebbe già al lavoro per una nuova proposta. Al momento l’ipotesi più accreditata potrebbe tornare a essere quella che fin dall’inizio era apparsa quella idonea: una confisca da circa 2 miliardi di euro che in realtà non verrebbero mai realmente confiscate ma si tratterebbe di obbligazioni garantite dallo Stato vincolati all’attuazione del piano ambientale varato dal Governo del valore complessivo di 1 miliardo e 800 milioni di euro. Soldi che lo Stato dovrebbe recuperare dal tesoro sequestrato dai pm milanesi alla famiglia Riva e al momento ancora bloccati in Svizzera. Un rischio, insomma, che ancora una volta potrebbe pesare sulle tasche dei cittadini italiani.
Ma non è l’unica notizia emersa dall’udienza di questa mattina: il prossimo 1 luglio, infatti, il gup Vilma Gilli dovrà rispondere anche all’istanza di astensione presentata dal legale di Nicola Riva. Secondo l’avvocato Pasquale Annicchiarico, infatti, il magistrato è una cittadina di Taranto come tutti quelli ammessi nel procedimento come parti civili perché danneggiati dall’Ilva e dalle sue emissioni nocive. Un punto che per la difesa dell’industriale accusato di associazione a delinquere finalizzato al disastro ambientale non può garantire il giudizio sereno richiesto al giudice nonostante qualche mese fa la Cassazione abbia respinto un’istanza di rimessione che chiedeva di spostare il processo da Taranto per il condizionamento ambientale e le pressioni sulla magistratura.