C’è stato un tempo, a cavallo tra il secolo scorso e quello in cui stiamo vivendo, nel quale il nome di Mauro Ermanno Giovanardi era piuttosto centrale nella musica italiana. Giò dei La Crus, così lo chiamavano allora, tutto insieme, tipo I Sassi di Matera, era una delle due, tre voci fondamentali per chi si volesse approcciare l’underground, insieme a Manuel Agnelli e Samuel dei Subsonica. Partito dalla new wave, come molti degli epigoni del rock italico, Giò, continuiamo a chiamarlo così, insieme a Cesare Malfatti e Alex Cremonesi, aveva in qualche modo spostato il suono della band verso la canzone d’autore italiana, presto seguito da tante altre realtà.
Da Sylvian a Tenco, per dire, il passo è stato breve, ma non così scontato come oggi potrebbe sembrare. La voce alla Scott Walker del nostro è diventata un marchio di fabbrica della generazione Tora! Tora!, e in molti si sono aspettati grandi cose, che però sono arrivate solo per i veri appassionati di musica, non per quella massa che sembrava non aspettasse altro che incrociare sul proprio cammino artisti un po’ meno banali di quelli che passava il convento. I La Crus si sciolgono e Mauro Ermanno Giovanardi continua nella sua ricerca in solitaria, con la minor potenza dettata dal portare avanti un discorso importante senza il supporto di sodali e soci, ma con altrettanta coerenza.
Passaggio fondamentale, in questo suo rinnovato percorso solistico l’omaggio agli anni Sessanta di Ho sognato troppo l’altra notte?, presentato al grande pubblico dal palco dell’Ariston, durante il Festival di Sanremo del 2011 grazie al piccolo gioiello Io confesso. E ancora di più Il mio stile, nuova prova solista, appena data alle metaforiche stampe (nel mezzo l’esperienza di Maledetto colui che è solo, album di cover che lo vedeva accompagnato dal Sinfonico Ukulele, atipico ensemble di ukulele). Giovanardi prosegue in questa sua ricerca nel nostro passato cantautorale e pop, sempre con la medesima attitudine da new-waver che gioca a fare il cantante confidenziale, e mette insieme una tracklist che lascia il segno. Al suo fianco, in fase di composizione, gente che col pop ha dimestichezza, da Nicolò Agliardi a Cheope, il figlio di Mogol, passando per Giuseppe Anastasi, autore di quasi tutte le hit di Arisa e di Gian Maria Testa.
Se il precedente lavoro sembrava guardare proprio ai grandi show televisivi, da Mille Luci al Festival, come attitudine, con un grande dispiegamento di orchestra, stavolta l’atmosfera si fa più fumosa, da jazz club. Costantemente presente un quartetto di fiati, diretti dal maestro Fabio Giuran, e un coro vocale, chiamato a sostenere il cantato di Giovanardi. I brani sono tutti degni di nota, su tutti, sicuramente, la autunnale Nel centro di Milano, probabilmente la più bella canzone della carriera solistica dell’ex La Crus, ma anche il rock sghembo di Su una lama o Aspetta un attimo, ottima prova vocale del nostro. Il tutto prende il titolo dall’unica cover presente nell’album, Nel mio stile, appunto, dell’immortale Leo Ferrè. Da non perdere, per chi ama la buona musica italiana e per chi, magari, a cavallo tra i due millenni ha davvero creduto che un manipolo di ragazzi potessero rivoluzionare la musica leggera italiana.