“Ora vi è un bosco, dove una volta vi erano i templi, i teatri, il foro”, scriveva nel XVI secolo Berardino Rota, feudatario di Frignano. Da allora l’area archeologica di Paestum è stata indagata, musealizzata, seppure escludendone delle parti.
Proprio come accaduto per il santuario extra urbano di Afrodite, su un lato della Sp. 276, poco aldilà del parco archeologico.
Si vede poco delle strutture antiche sulle quali nel 1908 la Cirio ha costruito uno stabilimento. A quell’irragionevole obliterazione nel 2005 la Soprintendenza archeologica ha posto rimedio. Rientrando in possesso dell’immobile. L’idea di procedere ad indagini archeologiche che permettessero di riscoprire il settore ancora ignoto del santuario, il primo step di un articolato progetto che prevedeva il riutilizzo degli spazi dell’ex stabilimento per un Museo. Sembrava un nuovo inizio. Così non è stato.
I più di 3 milioni di euro messi a disposizione dalla Regione Campania nell’ambito del POR-Progetti Integrati “Grande attrattore Paestum-Velia” per “Acquisizione, scavo e allestimento ex Cirio”, non hanno prodotto alcun risultato. A parte l’acquisto del complesso industriale. Del “progetto di recupero dell’immobile moderno per destinarlo a sede museale di esposizione delle necropoli e dei materiali del territorio di Paestum ed a sede di servizi connessi con il Parco archeologico” nessuna traccia. Le indagini archeologiche avviate nel 1984 e protrattesi fino al 1985, tutt’altro che concluse.
Che intanto continua ad essere anche un’area di sosta comunale, inutilizzata. In attesa che si realizzi, con 4,5 milioni di euro di fondi comunali il sottopasso ferroviario per collegare parcheggio e città antica. Opera autorizzata dalla Soprintendenza ma avversata da Legambiente. Il prossimo 27 maggio la mobilitazione promossa dalla testata “Voce di strada”, alla quale ha aderito anche il Comune, permetterà di liberare dalle sterpaglie l’area archeologica. Per tutto il resto ancora in sospeso non resta che aspettare.
“Finalmente, incerti, se camminavamo su rocce o su macerie, potemmo riconoscere alcuni massi oblunghi e squadrati, come templi sopravvissuti e memorie di una città una volta magnifica”. Così appariva Paestum a Goethe, nel 1787. Non è cambiato poi molto da allora.