“Il fatto non sussiste”. Con questa motivazione i giudici della quinta sezione penale della Corte d’appello del tribunale di Milano hanno assolto tutti gli imputati per i cori razzisti rivolti nei confronti di Kevin Prince Boateng. Il giocatore ghanese del Milan venne insultato durante un’amichevole giocata con i rossoneri a Busto Arsizio il 3 gennaio 2013 e per questo la squadra, allora allenata da Massimiliano Allegri, decise di sospendere la partita contro la Pro Patria dopo le ennesime urla contro il giocatore, che aveva reagito scagliando la palla verso le tribune. Un gesto forte contro il razzismo negli stadi lanciato in primis dal capitano Massimo Ambrosini. Ma per i giudici milanesi le offese ricevute dal centrocampista e dai compagni di colore Emanuelson, Niang e Muntari non avevano una connotazione razziale e hanno cancellato le pene che andavano da 40 giorni fino a due mesi di reclusione comminate in primo grado ai sei tifosi della squadra bustocca.
Tra i giovani finiti sotto processo anche Riccardo Grittini, esponente della Lega Nord di Corbetta e assessore nel comune in provincia di Milano. “Siamo soddisfatti, perché secondo noi erano stati condannati ingiustamente”, ha commentato l’avvocato Luca Abbiati, difensore di Grittini e di altri due imputati. “I cori non erano ingiuriosi – ha proseguito – e non avevano una connotazione razzista nei confronti dei calciatori di colore”. All’epoca dei fatti la vicenda aveva destato molto scalpore e i sei giovani erano stati individuati dalla polizia e denunciati pochi giorni dopo la partita allo stadio Speroni.
Si contarono anche interventi politici controcorrente. Il sindaco Pdl Gigi Farioli liquidò come “impropria” la reazione di Boateng e difese la sua città (“Busto non è razzista”). Poi arrivò la sparata di Marco Reguzzoni, ex capogruppo leghista alla Camera e all’epoca vicino a Bossi: “Boateng è una mammoletta strapagata”, tuonò. Non la pensava allo stesso modo l’Osservatorio del Viminale sulle manifestazione sportive e la settimana seguente diede un altro giro di vite decretando che ai primi segnali di manifestazioni razziste le partite potevano essere sospese dal dirigente del servizio ordine pubblico su segnalazione dell’arbitro o degli stessi calciatori. Una svolta epocale per il nostro calcio. Due anni e mezzo dopo quella rivoluzione perde le sue fondamenta storiche. Secondo il tribunale di Milano il 3 gennaio 2013 a Busto non ci fu razzismo. Gli ululati che si sentono nei video diffusi nelle ore successive altro non erano che tifo contro i giocatori avversari. Casualmente di carnagione scura.