Molto accade. Da ogni direzione e per ogni aggeggio, dal pc al tablet allo smartphone, si rovesciano sugli spettatori mille nuove possibilità di farsi il palinsesto in proprio e di ammazzare le serate senza dipendere dalle offerte di Mamma Rai e dal Caimano. Vincent Bollorè, dominus di Vivendi il gruppo multimediale francese, lo sta diventando anche di Telecom per piazzarsi al meglio nello sfruttare il previsto ingigantimento del traffico video sulle post-telefoniche linee a banda larga, non importa se in rame o in fibra. Ted Sarandos, il direttore editoriale di Netflix e padre di House of Cards, arriva in Italia in gita premio, ma anche perché la sua ditta sta per aprire bottega da noi.
Mentre tutta questa modernità si fa sotto, gli spettatori italiani continuano imperterriti a giocare di sponda fra Rai e Mediaset, spartendo tra le due oltre il 70% della loro attenzione e premiando volta a volta con qualche vantaggio ora dell’una ora dell’altra. Così sta accadendo nel maggio quasi concluso a confronto con quello dell’anno passato. Fuori dal Cavallo e dal Biscione non c’è da sorridere né per La7, i cui talk show soffrono a spartire il pubblico con quelli altrui, né dalle parti della tv satellitare che sembra avere arrestato la sua espansione e anzi arretra di una frazione di punto.
Tutto a vantaggio della Rai che dalle 20 alla mezzanotte si ritrova con Rai Uno cresciuta di quasi un punto di share e nel suo insieme (canaletti compresi) sale ancor di più (1,25%). Un aumento non da poco che, se avvenisse su base annuale varrebbe sul mercato pubblicitario (quello “normale”, non quello duopolistico) circa 50 milioni di euro. Ma senza che Mediaset ci rimetta perché, a partire da Canale 5, mantiene le posizioni, esercizio di cui da quelle parti sono da decenni maestri per non disturbare gli equilibri di audience del duopolio, di cui sono i maggiori beneficiari. In più, stavolta hanno puntato a contenere i costi risolvendo ben due serate con puntate de Il Segreto, la telenovela fenomeno acquistata in Spagna. Anche se l’avessero pagata cara il costo sarebbe comunque minimo rispetto a realizzare un prodotto originale, e da qui viene fuori il vantaggio per il bilancio dell’azienda.
Ma c’è qualche problema che riguarda invece l’interesse del Paese. Continuando sulla strada di fare i rivenditori anche in prima serata dei prodotti altrui verrebbe infatti falciata la industria audiovisiva di casa, e la relativa occupazione. Un ingigantimento della contraddizione di fondo e ben nota che ha attraversato l‘intera storia della tv italiana dalla metà degli anni ’70 fino ai giorni nostri, rendendola un gigante della distribuzione (nessuno ha più reti di noi) e un nano della produzione (nessuno ne fa e ne esporta meno di noi). Un capolavoro al contrario.