Lo spagnolo conserva la maglia rosa nell'ultima gara prima del traguardo finale a Milano. Ma a conquistare la durissima tappa alpina è il giovane sardo che già aveva primeggiato a Cervinia. L'etiope Grmay, il primo del suo Pese a partecipare alla competizione, soddisfatto del novantesimo posto: "Mi sto facendo le ossa"
Alle 17 e 13 in punto della sera – i numeri, per la cabala, raccontano il destino – Fabio Aru (nella foto) trionfa nella durissima tappa del Sestriere, dopo il Colle delle Finestre che quest’anno è Cima Coppi (2178 metri). Ha schiantato Alberto Contador, che comunque – forte del suo enorme vantaggio in classifica – conserva la maglia rosa. El Pistolero, stavolta, ha sparato a salve. Ha vinto il Girum 2015, senza però conquistare una tappa. Sul podio del Sestriere, mentre indossava la nuova maglia rosa, ha fatto 3 con le dita. Come dire, ho vinto tre Giri d’Italia. Non è così: quello del 2011 gliel’hanno revocato, a causa di una positività al clembuterolo.
Il Colle delle Finestre collega la Val Susa con la Val Chisone, metaforicamente oggi ha segnato il passaggio dal ciclismo di Contador a quello del futuro, che sarà di Aru, se il ragazzo saprà migliorarsi nelle corse contro il tempo, suo punto debole. In classifica generale è tornato secondo, il suo ritardo è di due minuti e 2 secondi. A distanza di appena ventiquattro ore, il giovane sardo (non ha ancora 25 anni) ha domato i tapponi alpini, come non succedeva dai tempi di Pantani.
Primo a Cervinia. Primo al Sestriere. Un bis straordinario: purtroppo in fin di Giro, che si conclude domani a Milano. Due arrivi da uomo solo al comando: di quelli che infiammano il gran popolo delle due ruote. Che rammarico per i due minuti e 47 secondi persi nei confronti di Contador, al termine della fatale lunga crono di Valdobbiadane…e per la dissenteria che l’ha colpito alla vigilia del Giro.
Contador al Sestriere è giunto con due minuti e 25 secondi di ritardo. Tanti, per uno come lui. Arriva stremato. Ma sorridente. E’ stato battuto oggi, però non è stato sconfitto. La maglia rosa gli è rimasta addosso. E’ incappato in una giornata storta: “Capita. Crisi di disidratazione”, dirà in conferenza stampa. Questa, la sua versione. Ma allora perché ha messo alla frusta la sua Tinkoff ai piedi del Colle delle Finestre, dando l’impressione di volere conquistare la tappa? Un bluff?
Perché al primo serio attacco, Contador è rimasto appeso al manubrio. Spingeva sui pedali senza la solita efficacia. Più che danzare sui pedali, il suo era barcollare. Ben presto rimasto solo senza compagni di squadra, come al solito in questo Giro, si è trovato nella morsa degli Astana, che erano addirittura in quattro, e poi, nel momento della verità, in tre: Aru, Mikel Landa e Tanel Kangert. Con loro, un vispo Rigoberto Uran Uran, il tosto Ryder Hesjedal, il biondino Steven Kruijswijk. Davanti, in fuga destinata a morire, un russo di buona stoffa, Ilnur Zakarin, vincitore del Giro di Romandia. In mezzo, Stefano Pirazzi.
Sui primi scatti astanici, Contador riesce a rientrare. S’illude di tenere il passo, ma non illude: Landa e Aru scambiano un cenno, due parole. Il basco sferra a dieci chilometri dalla Cima Coppi, uno scatto che sa di sentenza. El Deshidratado ha le gambe in croce. Si alza sui pedali, ma perde terreno. Vanno via tutti, dopo Landa. Contador non si lancia in disperato inseguimento. Non rischia di imballarsi. Mantiene la calma, e soprattutto la lucidità: cerca di resistere. E ce la fa.
El Deshidratado stabilizza il ritardo sul minuto e mezzo, il distacco oscilla, ma non tracima mai. Contador gestisce la “bambola”. Spiegherà come: “Non ho avuto paura di perdere lassù il Giro, è stato il mio meccanismo di autocontrollo a salvaguardarmi, ho sofferto moltissimo, un giorno in una corsa a tappe durissima come Il Giro ci può stare. Ho analizzato la situazione. Ho cercato di mantenere una cadenza buona per non perdere troppo terreno, sapevo che potevo contare su un grande vantaggio in classifica…”.
Contador è rimasto spesso solo, in questo Giro. Ha rintuzzato gli assalti facendo leva soltanto sulle proprie forze, e questo per diciannove tappe su venti. L’Astana non ha saputo monetizzare l’evidente vantaggio d’essere una squadra assai più forte ed equilibrata, rispetto alla Tinkoff. Il team della maglia rosa ha deluso assai: Ivan Basso, un fantasma; Michael Rogers, troppe volte lontano dal capitano nei momenti più critici; Roman Kreuziger, non all’altezza del compito di primo dei luogotenenti. Eppure, in conferenza stampa, El Deshidradato ha parole d’elogio per i compagni, li ringrazia, così come ammette che l’Astana ha portato al Giro una squadra fortissima: “In ogni circostanza, si sono dimostrati superiori. Il cinquanta per cento dei migliori erano sempre loro…”.
L’Astana ha guadagnato cinque tappe, due con Aru, due con Landa, una con Paolo Tiralongo. Tanta supremazia si è risolta come il topolino partorito dalla montagna. Sul podio finale ci salgono in due, Aru e Landa: però sui gradini più bassi. Aru, con la consolazione della maglia bianca di migliore giovane. Qualcuno dice che è il “vincitore morale”. Che è come rivoltare il coltello nella piaga. Aru, comunque, ha mostrato d’essere caparbio e tenace. Ha superato una settimana, la seconda, in cui pareva destinato ad un ruolo secondario. E’ migliorato progressivamente, fino alle superbe prestazioni nei due tapponi alpini. L’Astana lo vuole al Tour, ad aiutare Vincenzo Nibali.
Domani El Deshidratado raggiunge, nella classifica dei corridori che hanno vestito di più la maglia rosa, il grande (ed elegante) Hugo Koblet: 23 giorni passati da leader del Giro. Davanti, nella storia del Giro, hanno fatto meglio in sedici. Eddy Merckx l’ha indossata per 77 giorni, Alfredo Binda 59, Francesco Moser 58, Gino Bartali 50, Giuseppe Saronni 48, Jacques Anquetil 42, Fausto Coppi 31, come Bernard Hinault; Miguel Indurain 30, Roberto Visentini 27, Costante Girardengo 26, Danilo Di Luca 25, Johan De Muynck, Fiorenzo Magni, Giovanni Valetti e Gilberto Simoni 24.
Ora Contador punta a vincere il Tour de France: ma lì, gli avversari, sono ben altro rispetto a quelli che si è trovato al Giro. A cominciare da Nibali – capitano dell’Astana e vincitore del Tour 2014. Gli hanno chiesto che differenza c’è tra Fabio Aru e il siciliano Nibali: “Aru sta crescendo, è più esplosivo di Vincenzo”. In conferenza stampa, che i due hanno affrontato uno a fianco dell’altro, è stato tutto uno scambiarsi complimenti e attestazioni di affetto agonistico. Chiediamo ad Aru se per caso questa affettuosità non nasconda soggezione e timore reverenziale: “No, assolutamente, è che da quando ci siamo parlati alla Vuelta dello scorso anno, ho visto che vengo rispettato da Alberto, e per chi rispetta a mia volta ho molto rispetto. Nel ciclismo, nella vita”.
Il ciclismo si nutre di rivalità, qui sembra di leggere il libro Cuore. Un volemose tutti bene. Però, quando Aru ha raggiunto Landa che stava filando verso il traguardo del Sestriere, abbiamo visto tutti lo sguardo assai poco fraterno del basco. Lande aveva ricevuto l’ordine dall’ammiraglia dell’Astana di aspettare il sardo. Non ha fatto il sordo. Ha eseguito l’ordine. E’ probabile che a fine stagione cambi squadra. Aru lo ha pubblicamente ringraziato, ha ricordato come sul Mortirolo si sia sacrificato per cinque chilometri prima di fare la sua corsa, “io non andavo, non avevo le gambe, lui mi ha aiutato, ok. le ambizioni personali, sono ancor più importanti le ragioni di squadra”, la ragion di Stato delle due ruote: “Con Mikel c’è un bellissimo rapporto, lo ringrazio e quel che ha fatto per me anche oggi gli fa onore”.
Insomma, cala il sipario. Contador, col fiatone, mantiene la promessa della vigilia. Al Tour, oltre a Nibali, dovrà vedersela con Nairo Quintana che fece suo il Giro del 2014, e soprattutto con Christopher Froome. La tappa di oggi ha palesato che non è imbattibile, basta lavorarlo ai fianchi come ha fatto l’Astana. La morale della tappa di oggi è che nel ciclismo l’imprevedibile è sempre in agguato. Solo i grandi campioni sanno come limitare i danni delle crisi o degli incidenti. In questo senso, il Giro del 2015 è stato molto istruttivo.
Lo sa bene Tsgabu Gebremaryam Grmay, che anche oggi ha preso l’ormai rituale pacchettata di minuti: 38 e 31 secondi da Aru che ha solo un anno più di lui. E’ arrivato novantaseiesimo, ma è arrivato. Questo conta. E’ stato il suo un Giro decoubertiniano, per l’etiope contava più partecipare (e concludere la corsa) che sfavillare. In classifica è sceso d’un gradino. E’ novantesimo. Un piazzamento facile da ricordare. Meno, le 4 ore 18’ e 07” che lo separano dalla maglia rosa, cioè il tempo che s’impiega per percorrere una tappa di media difficoltà. Nella classifica dei migliori giovani, è ventesimo, su 38: “Mi sto facendo le ossa”, dice Tsgabu, “l’esperienza”. Le stesse parole di Aru.
P.S. Accanto alla mia auto, nel parcheggio davanti alla sala stampa del Sestriere, c’era un Suv dello speciale reparto di polizia degli artificieri. Ho chiesto, in tono scherzoso, “cercate qualche bomba?”. Hanno sorriso, il Giro è una vetrina, e la polizia di Stato fa molto, per garantire sicurezza. Ogni tanto, bisogna farsi vedere in questa vetrina itinerante. Gli ho ricordato che nel gergo del ciclismo di una volta, “bomba” significava una sorta di doping ruspante… una coincidenza, certo.