Non è mai granché entusiasmante dare ragione a Matteo Salvini, ma a volte ci azzecca. Martedì scorso, in collegamento su La7 con Giovanni Floris, mentre si divertiva a zimbellare con imbarazzante facilità la droide renzina Puglisi (più garbata delle varie Picierno, ma ahimé analogamente debolissima), il leader felpato della Lega ha avuto buon gioco a dire che il Presidente del Consiglio rifiuta il confronto televisivo. Anche in questo somiglia a Berlusconi: nell’intolleranza al dissenso. Salvini, se non altro, non pone veti quando va in tivù: se ne frega di chi è ospite con lui. Sarebbe una prassi normale, ma l’Italia normale non è.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché, se c’è Renzi in tivù, non c’è quasi mai un giornalista (troppo) “critico”. Il motivo è semplice: è Renzi a imporlo. E così la Boschi, un’altra terrorizzata all’idea che qualcuno possa metterla in difficoltà (cosa peraltro elementare, al punto che spesso riesce a farlo lei da sola). Proprio in queste pagine, Carlo Tecce ha raccontato il potere che esercita sull’informazione italiana un personaggio come Filippo Sensi, portavoce di Renzi dal passato oltremodo rutilante (era vicedirettore di un giornale, Europa, con più pagine che lettori).
Funziona così: Renzi va in tivù solo se, quasi sempre, si intervista da solo. Accade in particolare da quando è Presidente del Consiglio, riverito come nessuno prima di lui. Una delle leggende metropolitane vuole Renzi “bravissimo mediaticamente”. È vero in parte: in qualsiasi bar toscano trovi personaggi più simpatici di lui, ma è evidente che – se sei tu a decidere le regole del gioco – tutti possono apparire efficaci. Ma proprio tutti. Persino Renzi. Anche in questo, nella propensione monologante e nella concezione dispotica (“O con me o contro di me”), Renzi è analogo a Berlusconi. Il quale, prima di essere la controfigura di se stesso, era se non altro un genio (del male) della comunicazione.
Renzi neanche questo: è un epigono, un personaggio marginale divenuto dominante grazie alla pochezza degli avversari (quasi tutti) e alla compiacenza del giornalismo (quasi tutto). Se lo faceva Berlusconi era inaccettabile, se lo fa Renzi è normale. Se lo diceva la Carfagna era inaccettabile, se lo dice la Boschi è manna dal cielo.
Funziona così, e funziona male. Così male che, in una tale anomalia vivificata qua e là da eccezioni (c’è un abisso tra Otto e mezzo e Quinta Colonna), anche Salvini passa per democratico. Negli ultimi giorni Renzi ha puntualmente invaso, quasi sempre indisturbato, le tivù italiane. Lo ha fatto sfruttando un enorme potere contrattuale: non è più in grado di drogare gli ascolti come un tempo, e le sue supercazzole suonano già stantie, ma è pur sempre il Presidente del Consiglio. Naturale che qualsiasi talk show lotti per averlo. Lui se ne approfitta, punendo i programmi a lui sgraditi e frequentando la concorrenza.
Formigli gli sta antipatico? Lui va da Del Debbio. Santoro non lo sopporta? Lui va da Porro. Paragone è poco filogovernativo? E lui fa il pallone in Champions League (non è vero, ma potrebbe esserlo). Al massimo, nei contesti “infedeli”, spedisce al massacro i renziani minori (Bonafè, Rotta) o i piddini che detesta (Fassina). Quando poi in tivù lui non c’è, niente paura: ecco i sempiterni Rondolino e le Meli a difendere il fortino renziano. Due sere fa Renzi era da Nicola Porro. È stata un’intervista davvero puntuta, tale da riecheggiare quella di Frost con Nixon. Non stupisce che Porro, uno che da grande vorrebbe essere Del Debbio, sia salito come tanti sul carro del renzismo: abituato com’era al berlusconismo, per lui cambia poco. Anzi nulla. Il problema non riguarda Virus, l’alluce valgo dei talk show italiani, ma l’informazione televisiva (e non solo televisiva) nel suo insieme: è accettabile che un Presidente del Consiglio decida dove andare e dove no, scelga gli ospiti e magari (in alcuni casi) pure le domande?
O è piuttosto una stortura terrificante, che molti reputano tollerabile perché Renzi ha la patente dell’uomo di sinistra (come no)? Un simile stato delle cose ha generato un’informazione persino più filogovernativa del solito. Come ha riassunto Carlo Freccero, noto gufo disfattista: “C’è un servilismo nei confronti di Renzi che è insopportabile, al confronto Berlusconi era sempre attaccato. Una cosa vergognosa. Se fosse successo con Berlusconi saremmo andati in piazza tutti”. Arduo dargli torto.
il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2015