Il tutti contro tutti nato dalla lista della commissione Antimafia mostra l'interesse dei partiti nel trovare solo moventi politici. Nessuno coglie invece il diritto dei cittadini ad avere candidati onesti, indipendentemente dai risvolti giudiziari. Il motto è vincere, sempre e comunque, anche se alle urne non dovesse andare più nessuno
Esiste ancora il concetto di responsabilità? Nel senso di responsabilità politica, disciplinare o amministrativa? Pare di no, se il processo penale è diventato l’unico confine: tutto quello che non è vietato dalla norma penale è lecito. Una volta, parlando con questo giornale, Gherardo Colombo ha detto: “La verifica penale dovrebbe arrivare per ultima. E forse non è nemmeno la più indicata a risolvere le questioni, perché come effetto ha una sanzione e non l’identificazione di un rimedio che valga in casi analoghi per il futuro”. E poi il giudice non è un’autorità morale, per mestiere accerta l’avvenuta violazione di una legge. Il guaio è che a questo si aggiunge la scomparsa della reputazione: non esiste nessuna sanzione sociale per i comportamenti scorretti. Dunque tutto è posto, finché qualcosa non è “passato in giudicato”.
Infatti si veda dove siamo: due giorni prima delle elezioni la Commissione parlamentare Antimafia fornisce un elenco di candidati “impresentabili” e si scatena il finimondo. Tutti contro tutti e nessuno che si ponga il problema mettendosi dalla parte dei cittadini, che fino a prova contraria sono i primi titolari del diritto di potersi scegliere i propri rappresentati tra persone oneste. Paradossale è che il discorso pubblico sia tutto dentro ai partiti, in termini di vendetta o recriminazione. L’oggetto della discussione diventa il “movente” di chi ha diffuso i nomi e non il fatto in sé. Rosy Bindi è stata crocifissa, accusata di aver messo in atto una rappresaglia contro il rottamatore Renzi. Sia come sia, tutto questo è il contorno e non l’arrosto. Ed è molto interessante concentrarsi sulla questione “rottamazione” perché i candidati a questo turno elettorale per il Pd sono praticamente dappertutto espressione del vecchio sistema di potere. Vuol dire che la rottamazione è un principio variabile, a seconda delle convenienze? Forse vuol dire che era solo uno slogan. Da quel che si era capito, l’intento del premier e segretario dei democratici era rompere un sistema di potere che a lungo aveva governato il partito.
Nel caso di Vincenzo De Luca vale quel che ha scritto Peter Gomez sul Fatto: bastava non candidarlo, date le condizioni di partenza (una condanna in primo grado per abuso d’ufficio e l’imputazione per concussione, truffa e abuso d’ufficio). Invece dirigenti e deputati del Pd che cosa dicevano, solo un paio di mesi fa, per difendere la decisione di candidarlo a governatore della Campania? “Lo hanno scelto i cittadini e in 170mila lo hanno votato. De Luca può non piacere, ma il Pd ha deciso di far selezionare la classe dirigente agli elettori” (Simona Bonafè); “La condizione in cui si trova De Luca era nota a tutti i cittadini campani che lo hanno votato” (Matteo Orfini). Cioè: fatti vostri. E qui si manifesta l’altra faccia dell’irresponsabilità politica.
Nella famosa intervista a Scalfari, Berlinguer dice: “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati”. Era il 1981, poco è cambiato.
C’è poi l’incognita dell’affluenza. Alle ultime regionali, nel 2014, in Emilia Romagna e in Calabria l’astensionismo è stato altissimo (con affluenze rispettivamente del 37% e 43%). E’ un segnale terribile: non solo indica la sfiducia del popolo verso i propri rappresentanti, ma anche quell’irresponsabilità politica che ormai è diventata la cifra del governare. Ma a nessuno è importato molto, perché tanto un vincitore c’è comunque (il premier disse: “l’affluenza è un problema secondario”). “Vincere. E vinceremo”.