Come a ogni elezione, è partita da tempo la danza dei luoghi comuni.
A poche ore dallo spoglio, vorrei soffermarmi su quella che, a leggere i giornali, mi sembra la più macroscopica: la valenza nazionale di una chiamata locale.
È il leitmotiv di ogni consultazione, dalla nomina di un amministratore di condominio in su non passa elezione che non si provi a leggere l’esito delle urne come un test per il governo in carica in quel momento. Di norma, accade anche che il premier di turno non se ne lamenti se le proiezioni che ha per le mani sono favorevoli, mentre si affretti a disconoscere simili letture se teme performance negative o, comunque, non entusiasmanti.
La verità, da un punto di vista strettamente metodologico, è che incastrare delle elezioni locali – siano esse ristrette o allargate a più territori – in un frame da elezione nazionale corrisponde sempre a una sovra-interpretazione. Il risultato fornito da uno strumento concepito per fare un certo tipo di test (selezionare gli amministratori delle istituzioni locali)è (ab)usato come indicatore per far dire qualcos’altro (il giudizio degli elettori sul governo).
Perché questo accada è complesso: si tratta cioè dell’esito di più variabili che agiscono simultaneamente e non sempre allo stesso modo. C’è la politica, che negli anni ha sempre più enfatizzato ogni minimo test elettorale per provare a dire cose sull’operato del governo in carica, vuoi per legittimarlo (è successo a Renzi con le Europee dello scorso anno), vuoi per provare a dargli una spallata (l’elenco è pressoché sconfinato, e credo che queste elezioni andranno in questa direzione). Ci sono i media, o meglio quella parte di commentatori, talvolta anche piuttosto autorevoli, che sono convinti di poter spiegare fenomeni complessi come gli atteggiamenti dell’opinione pubblica, la formazione e gli spostamenti delle preferenze elettorali senza prestare alcuna attenzione ai legami tra quello che argomentano ed eventuali prove empiriche. E poi ci sono gli elettori, che non dicono – né sono tenuti a farlo – se e quando il proprio voto locale ha valenza nazionale o meno (è innegabile che una componente del corpo elettorale voti, anche per le amministrative, pro o contro il governo. Ma quanti sono? Quando succede?).
Per questo dico, e chiudo, che prima di istituire qualche tipo di legame tra consultazioni locali e giudizi sul governo/premier in carica, occorrerebbe mostrare una convincente documentazione empirica a corredo di posizioni che, diversamente, troverebbero come unica legittimazione plausibile l’eventuale autorevolezza di chi le sostiene. A volte, da dimostrare anche questa.