Poteva essere l’arma di Matteo Renzi per rilanciare l’economia nazionale. E invece il turismo italiano resta al palo mentre il resto del mondo nel 2014 cresce al ritmo del 4,4 per cento. Secondo le stime sul 2014 dell’Organizzazione mondiale del Turismo (UNWTO World Tourism Barometer – Aprile 2015), l’Italia riesce invece a malapena a mantenere la sesta posizione dopo Stati Uniti, Spagna, Cina, Francia e Macao nella top ten delle destinazioni preferite del turismo internazionale. Eppure sono in tanti a pensare che il Paese possa vivere solo di turismo che già oggi dà lavoro a 2,5 milioni di persone con un giro d’affari superiore ai 162 miliardi, pari a più del 10% del prodotto interno lordo.

Ma per rilanciare il turismo bisogna far ripartire la promozione all’estero che resta un punto dolente per l’intero Paese. Renzi ne è ben cosciente. Non a caso a giugno dello scorso anno aveva annunciato la “rottamazione” dell’Ente nazionale del Turismo Italiano (Enit), nominando, su proposta del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, Cristiano Luigi Raffaele Radaelli, con alle spalle un’esperienza pluriennale ai vertici di Siemens e Nokia, nuovo commissario straordinario dell’Enit con il compito di trasformarlo in un ente pubblico economico e “al fine di accelerare la trasformazione” stessa. La ristrutturazione però è iniziata subito con il piede sbagliato: il capo del governo, come si evince dal Dpcm di nomina, non ha conferito al commissario, che sarà in carica “fino all’insediamento degli organi dell’ente trasformato”, alcun potere straordinario proprio dell’incarico, ma si è limitato ad attribuirgli lo svolgimento delle “funzioni dell’organo collegiale di amministrazione”. E così tutte le deleghe operative, o meglio, quelle che il vecchio statuto dell’Enit definisce “funzioni” elencando tra il resto quelle “inerenti alle attività gestionali dell’ente in ordine alla gestione finanziaria, tecnica, amministrativa e contabile, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”, sono rimaste in mano al direttore generale. Ovvero Andrea Babbi, lo stesso che da settembre risulta indagato a Roma insieme ad altre 17 persone – tra cui l’ex presidente dell’Agenzia Nazionale del turismo, Pierluigi Celli per concorso in truffa, falso in atto pubblico, rivelazione e omissione di atti d’ufficio – per le sue consulenze oltre che per presunti illeciti legati alla sua nomina, che gli frutta uno stipendio da 150mila euro l’anno. Renzi, per altro, si è pure dimenticato di emanare il provvedimento per attribuire al commissario un emolumento neppure simbolico che pure era previsto dal decreto di nomina dove si legge che “il compenso spettante al Commissario straordinario” sarebbe stato determinato “con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri”.

Insomma, oltre al danno anche la beffa e tutto è cambiato nel senso più gattopardesco del termine. Nonostante la situazione, Radaelli come da programma nel giro di sei mesi ha riscritto lo statuto dell’Enit, operazione finalizzata alla trasformazione in ente pubblico economico. Ma il documento, che è stato licenziato a inizio novembre, ha trovato fin da subito diverse resistenze sulla sua strada. Prime fra tutte quelle dei dipendenti dell’Enit che temono lo smantellamento di un carrozzone di Stato in cui gli stipendi netti vanno da un minimo di 9mila euro ad un massimo di 17mila euro netti al mese. Dopo diversi mesi di giacenza a Palazzo Chigi, a fine marzo il nuovo statuto è stato finalmente firmato da Renzi. Tutto pronto quindi per avviare la metamorfosi? Macché: approdato sul tavolo della Corte dei Conti lo statuto è stato bloccato per due mesi. Il perché si evince chiaramente dalla seconda stesura del documento fresco di pubblicazione in seguito all’adeguamento alle richieste della magistratura contabile che temendo lo spreco di denaro pubblico, non aveva ritenuto accettabile la richiesta di Radaelli di effettuare un’analisi sul reale stato dei conti dell’ente (tecnicamente due diligence) anche alla luce dell’inchiesta giudiziaria sull’operato di Babbi oltre che degli sprechi dei suoi predecessori già evidenziati da un’inchiesta dell’Espresso del febbraio 2014. Per lo stesso motivo, poi, la Corte si è opposta anche alla nomina di tre subcommissari per la gestione dell’ente nella fase di transizione.

Entrambi i punti sono stati cancellati dallo statuto e così l’ente è ora pronto per partire. A poco vale che le gambe che lo sostengono sono dei conti su cui grava il forte sospetto di opacità. Tanto meno vale che per condurre in porto l’operazione sia stato necessario quasi un anno, il doppio del tempo necessario. Lo sanno bene anche Renzi e Franceschini che in questi mesi sono stati informati per iscritto da Radaelli dello stallo della situazione senza prendere alcuna contromisura. Più nota, ma ancora non si sa se ascoltata, è la missiva inviata al premier dai dipendenti dell’Enit per lamentare l’impossibilità di lavorare e chiedere che l’Agenzia sia fusa con un altro grande carrozzone pubblico, l’Istituto per il Commercio Estero (Ice), dove non perderebbero lo status di dipendenti pubblici e le loro preziose indennità. Certo è invece che in attesa che Renzi decida l’ente continua a pesare sulle casse pubbliche. Con i suoi 187 lavoratori Enit allo Stato costa poco più di 20 milioni l’anno, più della metà, 12,9 milioni, stando all’analisi della Corte dei conti sul bilancio 2013, se ne vanno in stipendi. Il grosso se ne va ai dipendenti di ruolo (6.646.526 euro) seguiti a stretto giro dal personale “locale” all’estero 5.875.854 euro. E pensare che nel contributo statale finiscono anche 2,5 milioni di trasferimenti per “interventi speciali a sostegno dell’immagine del turismo italiano”. Immagine che intanto è sempre più appannata e meno redditizia.

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