E' quanto emerge da uno studio della Harvard Business School. Per quanto riguarda gli uomini, quelli che hanno avuto mamme con un'occupazione passano più tempo con i figli rispetto ai coetanei con madri casalinghe e sono più disponibili verso i lavori domestici
Vuoi che tua figlia abbia un buon lavoro e un ottimo stipendio? Allora fai la mamma-lavoratrice. Si potrebbe riassumere in questo slogan l’ultima ricerca della Harvard Business School (HBS). Il prestigioso ateneo ha condotto uno studio su 50mila persone in 25 stati. Il risultato? Le donne cresciute (dai zero ai 14 anni) con madri al lavoro non solo guadagnano in media il 23% in più delle loro coetanee, ma proseguono gli studi più a lungo ed è più probabile che ricoprano ruoli di supervisione.
“Non esiste un’unica pratica che sia in grado di eliminare le disparità di genere – commenta una delle curatrici del rapporto, Kathleen McGinn, al New York Times – Ma essere cresciuti da madri lavoratrici è sicuramente un passo importante in questa direzione”. “Le donne spesso pensano di lasciare la loro occupazione per prendersi cura dei figli – continua la professoressa della HBS – ma quel che stiamo scoprendo intervistando quei bambini ormai adulti, è che i figli sarebbero stati meglio se le madri avessero speso parte del loro tempo a lavoro”.
La ricerca, non ancora resa pubblica se non con anticipazioni alla stampa americana, fa parte di Gender Initiative, progetto dell’università americana per supportare ricerche a favore dell’equità di genere. Uno studio tutto al femminile, ma che lancia qualche spunto anche all’universo maschile. Gli uomini, infatti, non sembrano influenzati nella carriera dal fatto che loro madre abbia lavorato o meno durante la loro infanzia.
“Questo perché è normale ipotizzare che un uomo cerchi di migliorare la sua posizione lavorativa”, raccontano i ricercatori. Ma le mamme non casalinghe hanno un effetto positivo su come i loro bambini diventeranno genitori. “Gli uomini che hanno avuto madri lavoratrici, infatti, passano più tempo con i loro figli“, circa il doppio rispetto ai loro coetanei con mamme casalinghe (da 8,5 a 16 ore settimanali). Più disponibilità anche verso i lavori domestici, cui dedicano 25 minuti la settimana in più rispetto a chi è cresciuto con mamme casalinghe.
“Non vogliamo attaccare le donne che scelgono di lasciare il lavoro per seguire la famiglia”, precisano i ricercatori dell’università di Cambridge al Guardian. Al contrario: la ricerca mira a non demonizzare le donne che non vogliono rinunciare alla carriera, pur essendo diventate mamme. “Non sono loro le colpevoli della distruzione di famiglie e società, come qualcuno vorrebbe far credere”, puntualizza Laura Bates, giornalista del Guardian, commentando la ricerca americana. “Speriamo che questo studio sia in grado di eliminare gli stereotipi sul fatto che le mamme lavoratrici ‘facciano del male’ o non si curino dei loro bimbi – commentano gli autori del volume – e aiuti le donne a capire che, se scelgono di lavorare, stanno in realtà aiutando i loro figli”. Negli Stati Uniti, infatti, circa tre quarti delle madri decidono di mantenere il loro lavoro dopo il parto, anche se il 41% degli americani giudica negativamente questa scelta. Stando a uno studio del 2007 dal Pew Research Center, infatti, solo il 22% dà un giudizio favorevole a una madre che lavora.
Smentita anche la convinzione secondo cui la scelta di una madre di proseguire la carriera possa avere una qualche influenza sulla serenità del bambino. Secondo il sondaggio, infatti, l’eventuale lavoro della mamma non sembra avere alcun effetto sulla felicità del figlio, né rispetto al suo ricordo dei primi anni di vita, né una volta diventato adulto. Demonizzazioni a parte, su un punto i ricercatori americani sembrano essere d’accordo: una madre non casalinga è un esempio positivo per le sue figlie. Ma non deve essere il solo. “Si deve far conoscere ai nostri figli quante più persone abbiano fatto scelte di vita diverse in famiglia come nel lavoro – continua l’equipe – Questo permetterà al bambino di aumentare la gamma di possibilità che sarà capace di immaginare per la sua stessa vita”.