Sebbene gli organigrammi dicano altro, le elezioni regionali 2015 hanno un vincitore: il Movimento Cinque Stelle, che conquista saldamente il profilo di seconda forza nello schieramento politico italiano e quindi – in base allo schema tracciato dalla legge elettorale (il famigerato Italicum) – si candida a essere l’antagonista del Pd (o meglio, di Renzi) nei previsti ballottaggi.
Posizionamento che comporta un’importante maturazione. Innanzi tutto questo avviene a fronte di una graduale contrazione del ruolo, sino a ieri altamente ingombrante, dei padri fondatori; il duo Grillo & Casaleggio, rimasti ai margini durante tutta la campagna (con qualche sporadica emersione grillesca, non sempre felice. Come nell’autolesionistica invettiva contro Veronesi). Che poi i ragazzi pentastellati continuino a manifestare affetto e riconoscenza nei confronti dei padri fondatori, dimostra che sono dei bravi figlioli. Ma loro stessi confermano nei fatti di aver compreso come ormai debbano camminare con le proprie gambe. Anche perché tra di loro è venuto alla ribalta un significativo embrione di classe dirigente locale, cui l’impegno sul territorio ha fatto capire due cose: loro non rappresentano l’anno zero della politica, fuori dal recinto del Movimento non c’è solo male e menzogna. Magari si scoprono interlocutori che non accettano di riconoscersi in un’appartenenza considerata opprimente per mentalità laico/critiche, ma che possono affiancarsi come “compagni di strada” in specifiche battaglie. Insomma, il calor bianco delle elezioni pare aver iniziato a cauterizzare molto del settarismo insito in militanze nate fideistiche. E questo si porta dietro una seconda conseguenza: lo speculare successo del neo-destrismo terroristico leghista (la nouvelle vague di Salvini, con cui si vuole fare dimenticare le malefatte padane) impone un posizionamento anche sullo spettrogramma politico. Se le categorie destra/sinistra sono rifiutate dal pensiero emergente della sinistra-post-sinistra mediterranea (leggi Podemos), cresce la necessità di profilarsi oltre le logiche markettare dell’acchiappatutto. M5S può farlo precisando la sua essenza di “partito della questione morale” assai meglio delle modalità bassamente furbesche perseguite a suo tempo da Antonio di Pietro. Questo significa diventare il soggetto che riporta la politica dalla parte della società, dopo la lunga trasmigrazione (tanto NeoLib come blairiana) nel Palazzo delle plutocrazie finanziarie. Perché la stessa battaglia per il reddito di cittadinanza ha una forte implicazione etica, non solo sociale. Se solo ci si ricorda di un certo Ernesto Rossi che nei lontani anni Quaranta del secolo scorso declinava i principi di Giustizia e Libertà nello slogan “abolire la miseria”. In questo caso il M5S potrebbe precisare meglio la propria identità recuperando l’antica tradizione repubblicana rettamente intesa, vanto di quella cultura politica italiana andata smarrita (il principio per cui non ci può essere Stato virtuoso, istituzioni virtuose, in assenza di cittadini virtuosi). Alla faccia dei tanti immoralisti in servizio permanente, da Giuliano Ferrara a Matteo Renzi.
Ultimo ma non ultimo punto: se i ragazzi del dopo Grillo sapranno guardarsi attorno, scopriranno che il loro vero tallone d’Achille è stato un’insularismo compiaciuto quanto politicamente inconcludente. Specie tenendo conto che il mese scorso Podemos ha vinto a Madrid e Barcellona proprio alleandosi. Si dirà: ma con chi allearsi in questo ceto politicante trasmutato in Casta autoreferenziale, con non marginali pulsioni affaristiche e collusive? Questa è la sfida di invenzione politica che si para innanzi ai ragazzi e alle ragazze del neo-repubblicanesimo a cinque stelle. Dialogare con Landini nell’aggregazione dell’associazionismo di base e il movimentismo diffuso? Sfidare pezzi di classe politica a essudare umori infetti e riconquistare l’onore perduto? Aggregare segmenti di intellighenzia critica in progetti di ricostruzione di un ethos politico perduto? Che altro?
Qui sta il nodo. Che il certo non spregevole governatore pugliese Emiliano ha posto subito sul tavolo proponendo intese sull’ambiente in quella regione martoriata.
Luigi di Maio è sembrato spiazzato. Lasciare cadere l’offerta in nome di malintese ortodossie sarebbe una marcia indietro improvvida rispetto a quanto di nuovo e di buono queste elezioni hanno mostrato fare capolino nel suo Movimento.