Non solo d’estate, ma anche nei fine settimana. Arriva da Bologna la proposta di riformare gli orari degli asili nido e delle materne comunali adattandoli alle nuove esigenze delle famiglie italiane, sempre più spesso alle prese con un impiego che, quando c’è, richiede turni, festivi e non conosce ferie. “Mamme e papà al giorno d’oggi non escono più dall’ufficio alle quattro del pomeriggio – spiega Sona Sovilla della segreteria Cgil del capoluogo emiliano romagnolo – quindi, da un lato tenere aperti gli asili nido e le materne per orari più lunghi, nei weekend e durante i mesi estivi andrebbe incontro alle loro esigenze, e dall’altro, ovviamente, porterebbe occupazione, sia in termini di insegnanti, sia per quanto riguarda le donne, che troppo spesso, alla nascita di un figlio, sono costrette a licenziarsi a causa della mancanza di servizi e dell’impossibilità di conciliare il lavoro alle esigenze della famiglia”.
Un’idea che ha già sollevato qualche polemica tra le dade e i sindacati di base, con l’Usb in prima linea tra i contrari: “Visto che le lavoratrici della grande distribuzione devono lavorare di sabato, di domenica e festivi fino alle 21, grazie agli accordi firmati da Cgil, Cisl e Uil, allora facciamo lavorare educatrici, insegnanti e collaboratori invece di cancellare quegli accordi scandalosi?”. E che non convince tutta la Cgil bolognese, divisa tra chi vorrebbe aprire una discussione sul tema, magari estendendola a tutta la gamma dei servizi al cittadino, e chi, invece, considera i nidi aperti la nel fine settimana “un parcheggio per bambini”, come Francesca Ruocco, segretario della Flc. Ma che ha raccolto il favore della neonata Istituzione Scuola, voluta nel 2014 dal Comune della Dotta per sbloccare le assunzioni di dade e maestre e innovare il comparto 0-6 anni, infatti, ha espresso il proprio appoggio, annunciando che a partire dal mese di settembre un percorso di ascolto con lavoratori e genitori per capire come rivoluzionare il servizio. E d’accordo è anche il sindaco di Bologna, Virginio Merola, “il mondo – spiega a La Repubblica il primo cittadino – è cambiato”, così come la Regione Emilia Romagna, con la vicepresidente e assessore al Welfare, Elisabetta Gualmini, secondo cui gli orari dei nidi comunali sono troppo rigidi rispetto alle necessità dei genitori contemporanei.
“E’ evidente – spiega Sovilla – che di fronte al modello attuale di lavoro abbiamo milioni di lavoratori che rimangono esclusi dai servizi, ad esempio quelli per l’infanzia. Oggi infatti il sabato e la domenica sono diventate giornate lavorative per tantissimi, non solo per chi opera nel turismo e nel commercio, si lavora su turni, non esiste l’orario d’ufficio, e la vecchia usanza di andare in ferie d’estate, per tutto il mese di agosto, ormai non esiste quasi più. Pensare, quindi, di chiudere gli asili nido alle 16.30 è francamente discutibile. Certo non vogliamo parlare di un parcheggio per bambini – precisa Sovilla, in risposta alle critiche di chi contesta l’idea – dove lasciare i più piccoli fino alla sera tardi, però serve maggiore flessibilità”.
Un’ipotesi che altri paesi, come gli Stati Uniti, hanno già trasformato in realtà, con asili nido aperti 24 ore al giorno per tutta la settimana, e che pure in Italia conta qualche precedente. Prima fra tutte Milano, dove Dadà, asilo con servizio notturno, nanna e prima colazione, ha aperto a due passi dalle Colonne di San Lorenzo. Ma le iniziative, in tal senso, provengono soprattutto dai privati, ed è questo uno dei nodi che Bologna vorrebbe sciogliere. “Le aziende, le cooperative e i privati sono stati i primi a capire che c’era un gap da colmare, dal quale trarre profitto – continua Sovilla – mentre noi, come Cgil, crediamo nel welfare pubblico. Perciò non critico le imprese che, per esempio, hanno aperto nei propri stabilimenti degli asili nido per i figli dei propri dipendenti, ci mancherebbe, però credo che le amministrazioni si debbano fare carico di quest’esigenza”.
Bologna, che inaugurò i primi due asili nido a gestione comunale d’Italia ben due anni prima della legge del 1971, vorrebbe quindi un cambio di passo. “C’è una grossa necessità, oggi, di creare occupazione, soprattutto femminile, che a Bologna è ai minimi storici, ma sappiamo che tale occupazione è legata al welfare: se ci mancano i servizi, le donne non possono andare a lavorare, oppure sono costrette a licenziarsi. E ad oggi, i servizi rispondono solo a una fascia di lavoratori, cioè il pubblico e la vecchia industria, che finisce alle 4 del pomeriggio. Una maggiore flessibilità, quindi, non solo offrirebbe una soluzione sotto questo punto di vista, e non dimentichiamo che i dati dimostrano che 100 donne che lavorano creano 30 posti di lavoro, ma porterebbe all’assunzione di nuove maestre. Abbiamo creato l’Istituzione Scuola a questo scopo, del resto, affinché l’amministrazione potesse assumere i precari pur con le attuali normative, ed è il momento di decidere se vogliamo un welfare di tutti, oppure semplicemente un welfare, come oggi, finanziato da tutti ma riservato a pochi”.