Prudentemente assente nelle ore più calde dello spoglio e del risultato certificato dal Viminale, il presidente-segretario al ritorno dall’Afghanistan ha definito quello del Pd “un risultato molto positivo” che rafforza la determinazione del governo ad “andare avanti”. Anche i commenti entusiastici sull'”ottimo risultato” e sulla vittoria “chiara e netta” che ha visto la Serracchiani si sono sprecati.
Il Pd di Renzi che si aggiudica 5 regioni su 7 e dunque va oltre l’asticella del 4 a 3 che il presidente del Consiglio aveva fissato all’ultimo momento come spartiacque tra vittoria e sconfitta, perde tantissimi voti, e non solo sul mitico 40% delle regionali che forse almeno per un po’ non sentiremo citare come una litania. Dopo un anno di governo da uomo solo al comando e senza un “bonus regionale”, era scontato e persino fisiologico che la performance del Pd sarebbe stata lontana da quel risultato, anche se due milioni in meno non erano prevedibili.
Ma il Pd acchiappatutto e tutti, come hanno confermato le liste collegate e determinanti in Campania per la vittoria di stretta misura di De Luca, ha perso voti, e non pochi, rispetto alle regionali del 2010 e anche al recinto della derisa ‘ditta’ bersaniana.
Il paradosso di perdere ‘vincendo’ secondo la perfetta definizione di Andrea Scanzi avrebbe richiesto da parte dei ‘vincitori’, per poter essere considerato solo una parentesi e non una tendenza della discendente parabola renziana, un’analisi fondata almeno parzialmente su dati reali.
Invece dalle prime dichiarazioni fino a quelle del giorno dopo, che dovrebbero essere leggermente più ponderate, è stata un’escalation di accuse contro ‘il cinismo’ del cinese Cofferati, già Gengis Kan nella vulgata dalemiana, per attribuire al nemico interno la batosta più significativa, ma anche altamente motivata e prevedibile, quella della Liguria.
Le sparate del ‘povero’ Rosato lasciato solo in piena notte al Nazareno deserto, mentre Renzi e Orfini si rilassavano con la playstation, a commentare l’annientamento delle candidate renziane doc in Veneto e in Liguria hanno evidenziato l’impreparazione e l’arroganza del Pd nel gestire ‘un successo’ tanto più amaro e rovinoso quanto più comunicato con termini e parametri calcistici.
Le sconfitte al nord, di cui una quasi scontata in Veneto ma certamente non con le dimensioni impietose del tonfo della Moretti sono entrambe totalmente a carico di Renzi: sue le candidate, sua la regia delle campagne elettorali e degli spot promozionali, suo lo stile ‘disinvolto’ della candidata burlandiana nel liquidare le istanze di trasparenza contro le primarie della vergogna.
Le vittorie al sud, molto diverse tra loro, sono accomunate dalla personalità e dall’autonomia dei candidati: ma se quella di Emiliano è totalmente ascrivibile al vincitore, quella di misura dell’impresentabile De Luca, benché rappresentante della classe politica che Renzi a parole si proponeva di rottamare, è stata trainata con ostentata spregiudicatezza e disprezzo della legalità e della trasparenza dal premier-segretario in prima persona.
E De Luca, dopo aver aggredito Rosy Bindi e la commissione antimafia, superato il testa a testa con Caldoro della nottata, da vincitore che ex lege non potrà insediarsi ha tuonato minaccioso contro “la lunga abitudine spesso infame di inchiodare l’immagine della Campania alla criminalità”.
Ma nemmeno le vittorie fino a ieri ‘a tutto tondo’ del centro sono state per il Pd ‘l’ottimo risultato’ in termini assoluti magnificato da Renzi. In Toscana non può essere ignorato il dato dell’astensione, impressionante ovunque, ma stratosferico per una regione rossa; e in Umbria oltre all’astensione lo scarto molto contenuto tra la governatrice del Pd riconfermata ed il sindaco di FI che Berlusconi avversava per inadeguatezza estetica non giustificano nessuna esultanza.
Se poi si considerano l’atteggiamento del Pd e di FI, di cui si è ancora costretti a parlare solo per l’esistenza di Salvini, nei confronti del risultato del M5S, secondo partito in regioni pesanti e soprattutto secondo partito in termini assoluti a livello nazionale con un risultato che ne consolida l’affermazione in modo omogeneo, allora si coglie perfettamente la totale incomprensione della volontà degli elettori.