La villa di Ernesto Bardellino. I locali di Cipriano Chianese, il re della "monnezza". Le serate mondane di Katia Bidognetti. La bella residenza del fratello di Nicola Cosentino. E così via. Nella città laziale teatro dell'assassinio di Mario Piccolino, legale e blogger di denuncia, la presenza mafiosa storica. E la paura è forte. Come raccontano i giovani cronisti del "sistema Formia"
L’aveva pensata come una piccola cittadella inespugnabile. Una via che sale verso il monte, separata dalla statale Appia, poco prima che si inizi a intravedere il mare. Una villa, contornata da dépendance e appartamenti. Un simbolo per rendersi riconoscibili in maniera tale che chiunque, passando da quelle parti, potesse guardare e sussurrare: “Ecco, è lì che vive Ernesto Bardellino, il fratello del capo storico dei casalesi”.
Via Unità d’Italia, Formia – la città dove è stato ucciso a sangue freddo l’avvocato-blogger Mario Piccolino – è a meno di un chilometro da un altro simbolo, il Maracuja, l’ex discoteca e albergo di Cipriano Chianese, l’avvocato della monnezza accusato oggi a Napoli di disastro ambientale. A qualche passo da un locale molto chic, dove spesso si affaccia Katia Bidognetti, figlia di “Cicciotto ’e mezzanotte”, il boss che ha regnato per decenni insieme a Francesco “Sandokan” Schiavone su Terra di Lavoro, oltre il fiume Garigliano. A pochi metri dalla bella residenza di Mario Cosentino, fratello del più noto Nicola, il deputato del Pdl che per un ventennio ha avuto in mano la Campania.
La “cittadella” di Ernesto Bardellino – ex sindaco socialista di San Cipriano d’Aversa e fratello di Antonio, il capo storico dei casalesi ucciso nel 1988 – oggi vale più di un simbolo nel sud pontino. Sequestrata, poi confiscata, alla fine espugnata e affidata al Comune, dopo un tira e molla durato anni. Tutto in mano allo Stato. O quasi, visto che in quella stessa via una casa la moglie e il figlio di don Ernesto l’hanno mantenuta, salvandola dai provvedimenti del tribunale. Così, tanto per far capire a tutti come vanno le cose. Cinque appartamenti. Una quindicina di locali, più servizi. È quanto ha ora a disposizione il Comune di Formia, da destinare a famiglie senza casa, messe sotto sfratto da una crisi che da queste parti morde come non mai. Un modo per far vedere che alla fine lo Stato caccia i cattivi, facendo vincere i buoni. Ma non qui, non a Formia, città che Carmine Schiavone chiamava “provincia di Casal di Principe”. Qui certi nomi pesano.
Prima sono state le ditte locali a non voler mettere piede in quegli appartamenti, rinunciando ai lavori per sistemare i locali. Poi uno a uno gli assegnatari, che hanno preferito rimanere senza una casa. Certi sgarbi, si sa, è meglio non farli. Alla fine di cinque appartamenti solo uno ha un inquilino, mentre i cantieri sono stati affidati a una società di fuori Formia. Gli altri? Vuoti. “Con i Bardellino che continuano a vivere a pochi passi è una situazione difficile”, spiega il sindaco Sandro Bartolomeo, Pd, al suo secondo mandato. Appena aveva preso possesso dei beni confiscati, un anno e mezzo fa, aveva assicurato a tutti che in pochi giorni gli appartamenti sarebbero stati assegnati. “Abbiamo difficoltà a far andare le famiglie in quelle case”, dice oggi.
Ernesto Bardellino a Formia è arrivato alla fine degli anni Settanta, comprando da un imprenditore locale le concessioni per costruire villette e case nel parco Solemar. Da allora questa zona del sud del Lazio la chiamano la “Svizzera dei casalesi”. Cemento e locali, turismo, logistica. Scriveva già nel 1991 la commissione antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte: “Nel sud pontino, ha osservato la Prefettura, il trasferimento di elementi della camorra (clan Bardellino, Moccia, Magliulo, Iovine-Schiavone, di gruppi di Mondragone) e della ’ndrangheta ha provocato ‘l’aumento dei reati di rapina, estorsione, intimidazioni a titolari di cantieri, furti, usura, acquisti di locali pubblici, allo scopo di riciclare, con investimenti apparentemente leciti, i proventi delle attività illecite’”.
Raccontare oggi Formia può costare caro. Francesco Furlan e Adriano Pagano sono due giovani cronisti che da qualche anno sfidano la stampa locale mainstream. La testata che hanno contribuito a fondare, H24notizie.com, ha coniato il termine “Sistema Formia”, pubblicando per mesi le intercettazioni dell’ultima inchiesta della Procura di Latina, che vede una ventina di indagati per associazione per delinquere e vari reati contro la Pubblica amministrazione. Una storia di cemento e affari per pochi, in pieno stile pontino. “Qualche giorno fa abbiamo pubblicato una serie di articoli sugli appalti assegnati dal Comune, che nulla hanno a che vedere con l’inchiesta, a un imprenditore locale, Lino Pace – raccontano al Fatto Quotidiano – finiti sotto la lente d’ingrandimento della Ragioneria generale dello Stato”. Certe cose, da queste parti, è meglio lasciarle perdere: “Una sera aspettavo Adriano davanti a un negozio – spiega Furlan – e quell’imprenditore si è avvicinato. Prima ha iniziato a inveire, poi mi ha colpito con uno schiaffo in pieno volto. Mi è andata bene, è stato fermato dalla moglie”. Il peggio, però, è venuto dopo. Ed è il silenzio. Tanta solidarietà dagli amici, da qualche collega e dall’osservatorio antimafia. Ma nessuna telefonata dagli amministratori locali. Il sindacato dei giornalisti aveva lanciato l’idea di una mobilitazione locale ma, con il passare dei giorni, nulla è accaduto. “Andiamo avanti – raccontano Francesco e Adriano – anche se dobbiamo continuamente guardarci le spalle”.
L’apparenza a Formia è quella di un equilibrio che nasce da accordi che non vedi. Le indagini della Dda di Napoli hanno mostrato il radicamento sempre più forte di tanti gruppi di camorra, oltre ai clan storicamente radicati nel sud pontino. Qui vive, ad esempio, Erminia “Celeste” Giuliano, meglio conosciuta come “Lady Camorra”. È la sorella di Luigi, già capo dell’omonimo clan di Forcella. Qui nel 2011 la Guardia di finanza di Roma ha sequestrato 50 milioni di euro al clan Mallardo di Giugliano che attraverso la famiglia Dell’Aquila ha investito per decenni in questa zona del sud del Lazio. Ci sono poi le indagini della Procura di Latina, che qualche anno fa colpirono la famiglia Bardellino, con l’operazione “Formia Connection”. Per quell’inchiesta il primogenito di Ernesto, Angelo Bardellino, è ora in attesa del giudizio d’appello che tarda ad arrivare. Nel 2011 era stato condannato in primo grado a sette anni e cinque mesi per estorsione. Da allora si occupa di produzioni musicali attraverso una società aperta in Romania, facendosi fotografare insieme ai cantanti italiani più noti.
da Il Fatto Quotidiano del 31 maggio 2015