Il caso di Vincenzo De Luca, candidato eletto Presidente della Regione Campania – una Regione da 6 milioni di abitanti, il 10% dei cittadini italiani – con quasi un milione di voti, candidabile per legge ma inidoneo per la stessa legge all’esercizio, anche per un solo istante, della carica di Presidente della Regione e “impresentabile”, secondo la Commissione anti-mafia, sta dando vita ad un dibattito politico, giuridico e mediatico con pochi precedenti nella storia del Paese.
I vertici dello Stato, politici navigati, uomini delle istituzioni, giuristi veri ed illustri ed aspiranti tali con poche chance di divenirlo si succedono nel piccolo schermo, online e sulle colonne dei giornali nel proporre soluzioni più o meno avvincenti proprio come, talvolta, accade, leggendo o seguendo in televisione un legal-thriller e provando ad anticipare, con chi sta vicino, l’epilogo del libro, del capitolo, della puntata o della serie tv.
C’è, ad esempio, chi dice che sarebbe una questione di tempi, da giocare, cronometro alla mano, giacché se De Luca riuscisse a farsi proclamare ed eleggere un suo vice prima che, da Roma, arrivi a Napoli – quasi dovesse essere affidato ad un messaggero a cavallo – il provvedimento di sospensione, forse, tutto, potrebbe risolversi rapidamente e chi suggerisce che alla fine decideranno i giudici che potrebbero sospendere il provvedimento di sospensione, riabilitando provvisoriamente De Luca a presiedere la Regione Campania, disapplicando una legge dello Stato che lo verrebbe provvisoriamente inidoneo ad esercitare tale carica.
L’intera vicenda sembra diventata una specie di “Cluedo” – per gli amanti dei giochi da tavolo – o di remake, in salsa amatriciana, di Scandal o House of cards – per gli amanti delle serie tv nelle quali la politica a stelle e strisce viene raccontata in una logica a metà strada tra quella del legal-thriller e del videogame.
Eppure si discute delle regole fondamentali della nostra democrazia ovvero delle leggi che governano – o dovrebbero governare – il meccanismo attraverso il quale i cittadini eleggono i loro rappresentanti perché amministrino, nell’interesse comune, la cosa pubblica.
E come se tutto ciò non bastasse, da Napoli rimbalza la notizia che De Luca ha appena querelato per diffamazione – ed un lungo elenco di altri reati – Rosy Bindi, Presidente della Commissione Antimafia per avergli dato, a ridosso dell’apertura dei seggi ed in forza di un’altra legge e di un Codice etico approvato in Parlamento, dell’impresentabile.
E, così, si apre un altro legal-thriller nel legal-thriller con i cittadini ridotti, una seconda volta, nel ruolo di telespettatori a chiedersi, sgranocchiando popcorn sul divano se la Bindi ha diffamato davvero De Luca o se, invece, sia De Luca a diffamare la Bindi e l’intera Commissione Antimafia dalla quale – salvo a non sospettare, come pure qualcuno ha già suggerito, un golpe della Presidente – la lista degli impresentabili è uscita.
L’intera trama del De Luca-gate, sembra uscita dalla penna di uno degli scrittori, autori di House of cards al quale, forse, varrebbe la pena di suggerire – in vista della scrittura della prossima serie – un viaggio in Italia o, almeno, la lettura dei nostri giornali giacché, da noi, in queste ore, la realtà sembra davvero superare la più fervida delle fantasie.
Ma come stanno davvero le cose in quello che sembra solo un gioco o una serie Tv ma è, invece, la nostra democrazia?
A voler essere onesti, basta prendersi la briga di leggere le leggi per capire che, in questa brutta storia che della democrazia non è neppure un surrogato, la principale responsabile è proprio l’inadeguatezza delle leggi e, naturalmente, di chi le scrive. La cosiddetta Legge Severino stabilisce che chi venga a trovarsi in una condizione come quella nella quale si trova il candidato eletto alla guida della Regione Campania, Vincenzo De Luca – ovvero condannato per uno dei reati previsti dalla legge stessa ma con Sentenza non ancora definitiva – venga sospeso di diritto dalla carica che è, nel caso De Luca, addirittura quella di Presidente della Regione.
Ma la stessa legge non preclude a chi pure all’indomani di un’eventuale elezione dovrà, immediatamente, astenersi dall’esercitare la carica alla quale dovesse essere eletto di candidarsi, né spende neppure una parola per chiarire cosa accada qualora – come, appunto, nel caso De Luca – venga eletto a Presidente di una Regione e non di un circolo bocciofilo, un soggetto che, per effetto di una norma contenuta nella medesima legge, non può governare la Regione in questione neppure per un istante.
Sul punto bisogna essere chiari e seppure con il rispetto dovuto ai giuristi eccelsi, autori della legge – a cominciare dalla professoressa Severino che da ministro della Giustizia l’ha tenuta a battesimo – ammettere che le regole della c.d. Legge Severino sono carenti ed inadeguate a governare aspetti non di dettaglio come quelli che vengono in rilievo nella vicenda in questione.
E c’è poi – sempre per restare all’inadeguatezza delle regole – la legge che ha assegnato alla Commissione parlamentare Antimafia il compito di preoccuparsi anche di presentabilità ed impresentabilità dei candidati alle consultazioni politiche e, soprattutto, il Codice etico approvato dalla Commissione medesima nel settembre del 2014 e, nei giorni scorsi, utilizzato per la compilazione della famosa lista degli “impresentabili”.
E’ una brutta legge, attuata ancor peggio con il varo del famigerato Codice etico.
La motivazione di un giudizio tanto severo è semplice: attribuire ad un soggetto politico quale la Commissione parlamentare Antimafia il compito di intervenire sulla compilazione delle liste elettorali, applicando, peraltro, per effetto del Codice, criteri e valutazioni di matrice, addirittura, etico-morale, rende quanto accaduto nel De Luca-gate, più che effetto di una deriva o di una patologia una conseguenza pressoché naturale ed inevitabile.
Senza contare che né la Legge, né il Codice etico si preoccupano di stabilire cosa la Commissione Antimafia debba fare dopo aver compilato la lista degli “impresentabili” con l’ovvia conseguenza che la decisione di pubblicare quell’elenco, ad una manciata di ore dall’apertura dei seggi, è stata una scelta discrezionale e non vincolata, né richiesta dalla legge esattamente, peraltro, come lo sarebbe stato, scegliere di non pubblicarlo.
Son queste, purtroppo, le regole che dovrebbero governare uno dei momenti democraticamente più intensi della vita di un Paese: la scelta, da parte del popolo, dei propri rappresentanti destinati ad amministrare la Repubblica.
E che si tratti di regole inadeguate e mal scritte perché mal pensate o, peggio, perché così partorite dai noti compromessi politici che segnano il varo di ogni legge, conta davvero poco. Si tratta di leggi che vanno cambiate in fretta prima che producano altri scempi democratici e consentano ancora di lasciar rappresentare la democrazia come un legal-thriller.