Domenico Bevilacqua, 54 anni, è stato raggiunto da colpi di pistola nel suo quartiere, all'Aranceto, mentre si trovava fuori da un negozio. Negli anni scorsi era sfuggito da altre aggressioni
Lo hanno ucciso nel suo quartiere, all’Aranceto di Catanzaro da sempre ritenuta la roccaforte della cosca degli zingari. È morto così il boss Domenico Bevilacqua, 54 anni, conosciuto con il soprannome “Toro seduto“. L’agguato è stato portato a termine intorno alle 10 quando due uomini, a bordo di uno scooter, si sono avvicinati al boss mentre si trovava all’esterno di un negozio e hanno fatto fuoco. Alcuni colpi di pistola calibro 9 hanno raggiunto la vittima alla testa.
Toro seduto è stato soccorso e trasportato in ospedale ma per lui non c’è stato nulla da fare. Le sue condizioni erano gravissime ed è morto poco dopo. Oltre ai bossoli, sul luogo della sparatoria, carabinieri e polizia hanno rinvenuto una pistola e sono in corso accertamenti per capire se si tratta della stessa utilizzata dai killer o, più probabilmente, di un’arma che Bevilacqua aveva con sé e che ha utilizzato per difendersi prima di tentare di sfuggire all’agguato.
Ed è proprio nelle dinamiche tra cosche che la Direzione distrettuale antimafia oggi cerca le ragioni che hanno armato i killer che hanno sparato anche davanti a un testimone già interrogato dagli agenti della squadra mobile, guidata da Rodolfo Ruperti. Non è escluso, inoltre, che la fuga dei sicari sia stata filmata dalle telecamere di sicurezza poste a cento metri dal luogo del delitto.
Gli inquirenti, adesso, stanno cercando di verificare se l’agguato a Bevilacqua sia collegato ai numerosi attentati consumati nelle ultime settimane a Catanzaro dove, probabilmente, gli arresti dell’inchiesta Aemilia contro le cosche di Cutro (e le sue ramificazioni in Emilia Romagna) hanno provocato dei contraccolpi nei precari equilibri della ‘ndrangheta del capoluogo calabrese. Tra le ipotesi al vaglio degli investigatori, infatti, ci sarebbe il tentativo del clan degli zingari di sfruttare l’assenza, sul territorio, di alcuni esponenti mafiosi finiti in carcere. Di lui parla il boss Nicolino Grande Aracri in un’intercettazione ambientale: “Là (a Catanzaro, ndr) no, fanno bordello tra loro… una parte di ‘u Tubu (Cosimino Abbruzzese, rivale di Bevilacqua, ndr) diciamo con tutti u’ Tubu più o meno come cose, si comportano meglio… invece quelli di Toro Seduto c’è un poco… eh un poco di lagnanze”.
Dopo l’attentato del 2005 Toro Seduto si era apparentemente defilato dagli affari. Cercava di non uscire mai dal quartiere e se lo faceva era sempre scortato dai suoi uomini di fiducia. Era comunque l’uomo di riferimento per i criminali rom che, a Catanzaro, gestiscono il mercato della droga, il traffico di armi e le estorsioni agli esercizi commerciali. Bevilacqua era stato condannato a 6 anni di carcere nel processo “Domino” per un’estorsione a una ditta che stava eseguendo i lavori di demolizione del cavalcavia sul fiume Corace. Altri 7 anni di carcere li aveva rimediati nel processo “Revenge”.
Ma “Toro seduto” era un boss che aveva entrature anche in politica. Nel 1999 il Comune di Catanzaro ha sfornato la famigerata delibera numero 586 con la quale, a pochi giorni dal voto il sindaco Sergio Abramo (al suo primo mandato) e la sua giunta avevano concesso un’area comunale di circa 600 metri quadrati per la costruzione, in via Magna Grecia, di un’abitazione destinata ad una famiglia nomade. Guarda caso, la famiglia era quella del capo dei rom Domenico Bevilacqua che, in quel terreno, costruì non un’abitazione popolare ma una mega villa oggetto ancora oggi di un procedimento penale a carico di alcuni dirigenti del Comune che non solo hanno consentito la realizzazione di opere abusive ma non hanno mai ottemperato agli ordini di demolizione nonostante le numerose segnalazioni dei carabinieri. “Toro seduto” non c’è più. Ma la villa è ancora lì.