Dopo le polemiche sul caso pensioni, il conteggio alla vigilia dell'esame di costituzionalità del blocco in essere dal 2010. Il sindacato: "Numeri gonfiati e volti a spaventare. Questa non è più una Repubblica fondata sul lavoro ma sul pareggio di bilancio"
Non meno di trentacinque miliardi di euro. Tanto vale, secondo l’Avvocatura dello Stato, l’arretrato accumulato con il blocco degli stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione che sono fermi dal 2010. Una bomba a orologeria, è il messaggio sottinteso, di portata decisamente superiore rispetto a quella della mancata rivalutazione delle pensioni fresca esplosa a fine aprile. Anche questa volta toccherà alla Corte costituzionale decidere se farla esplodere o disinnescarla. L’udienza per l’esame della questione di legittimità costituzionale sul blocco della contrattazione nel pubblico impiego in seguito al ricorso della Confsal Unsa, organizzazione presente soprattutto nei ministeri, è in calendario per il prossimo 23 giugno. E il calcolo dell’Avvocatura è stato fatto proprio in vista dell’appuntamento in una memoria citata dall’Ansa, dove si legge appunto che “l’onere” della “contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico, non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi”, con “effetto strutturale di circa 13 miliardi” annui dal 2016.
Il documento firmato dall’avvocato dello Stato, Vincenzo Rago, nella parte conclusiva si sofferma “sull’impatto economico delle disposizioni censurate, in relazione all’art. 81 e 97″ della Costituzione. E precisa che “i rilevanti effetti finanziari derivanti dall’intervento normativo che si esamina sono evidenti”. Nella parte iniziale, però, sottolinea come “in ogni caso le prerogative sindacali risultano salvaguardate e si sono estrinsecate, tra l’altro, nella partecipazione all’attività negoziale per la stipulazione dei contratti integrativi (Ccni), sia pure entro i limiti finanziari normativamente previsti” e “di contratti quadro”. Poi, aggiunge, è rimasta in piedi la possibilità “di dar luogo alle procedure relative ai contratti collettivi nazionali, sia pure per la sola parte normativa”.
Insomma, dopo le polemiche seguite al verdetto sulla cosiddetta norma Fornero e ai suoi effetti sulle casse pubbliche, ora gli avvocati dello Stato giocano d’anticipo e da una parte mettono in guardia la Consulta sui potenziali costi devastanti che una sentenza a favore dei dipendenti pubblici potrebbe avere sulla tenuta dell’Italia, invitando la Corte a considerare l’impatto economico della contrattazione: “Di tali effetti non si può non tenere conto a seguito della riforma costituzionale” che “ha riscritto l’art. 81 Cost, a partire dalla disposizione del nuovo comma 1, secondo la quale ‘Lo Stato assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico’”. Dall’altra evidenziano a chiare lettere quello che sembra l’unico punto a favore dello Stato che dimostra come “un’intensa attività contrattuale sia stata svolta, anche in pendenza del nuovo complesso normativo, ed abbia riguardato sia la contrattazione integrativa che quella nazionale”.
Numeri “gonfiati” e “volti a spaventare”, ha commentato il segretario generale della Confsal Unsa, Massimo Battaglia: “Questa non è più una Repubblica fondata sul lavoro ma sul pareggio di bilancio”. La Federazione quindi “smentisce categoricamente quanto dichiarato dal governo”, per “il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato che ne fa la difesa”, secondo cui l’onere non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi di euro. Per Battaglia, infatti, “nella migliore delle ipotesi, in caso di accoglimento totale da parte della Corte Costituzionale del nostro ricorso, il costo complessivo, calcolando l’inflazione reale a partire dall’anno 2010 e fino al 2015, compresi tutti gli emolumenti arretrati, sarebbe di 30 miliardi comprensivo degli oneri previdenziali e assistenziali e delle imposte a carico del datore di lavoro e, pertanto, per la contabilità pubblica esso comporterebbe un indebitamento netto pari alla metà e cioè a 15 miliardi di euro“. Quanto ai prossimi anni, “con i dati inflazionistici programmati nel Def (documento economia e finanza 2014) con un’Ipca pari al 4,4% per il triennio 2015-2017, avremmo un costo progressivo che a regime, nel 2017, sarebbe di 6,9 miliardi di euro, comprensivo degli oneri previdenziali e delle imposte a carico del datore di lavoro”. Il segretario, quindi, “auspica la piena autonomia della Corte Costituzionale, così come avvenuto recentemente sulle pensioni, esprimendosi solo ed esclusivamente sul diritto alla retribuzione derivante al contratto di lavoro di 3,3 milioni di lavoratori pubblici, contratto negato da 6 anni”.
Non la pensa molto diversamente la Uil, secondo la quale l’Avvocatura dello Stato “ha capacità divinatorie, senza aver fatto una trattativa ha già stabilito quanto costerebbero i rinnovi contrattuali del pubblico impiego e quanti soldi dovrebbero essere riconosciuti ai dipendenti pubblici”. Per bocca del segretario confederale Antonio Foccillo, il sindacato fa poi sapere di ritenere “che questa cifra, priva di dati certi e di una trattativa, sia solo frutto di una posizione che tende a influenzare la decisione della Corte Costituzionale. Noi, invece, siamo convinti dell’autonomia e della bontà di giudizio della Corte che deciderà ed emanerà la giusta sentenza esclusivamente sulla base del diritto. Vorremo ricordare, infine, anche all’Avvocatura dello Stato, che i contratti pubblici sono bloccati da 6 anni e in nessun altro settore privato c’è una situazione di questo tipo”.