L’idea di un’assicurazione europea contro la disoccupazione ha successo: può riaffermare l’ideale di un’Europa solidale e finanzierebbe i sussidi per la perdita del lavoro, senza pesare sulle finanze pubbliche. La proposta troverà spazio nel rapporto dei “quattro presidenti”?
di Ilaria Maselli (lavoce.info)
Dove trovare le risposte alle crisi
Le regole fiscali per la governance della zona euro adottate all’indomani della crisi sono destinate nel lungo, lunghissimo, periodo a creare un margine di manovra per aumentare la spesa pubblica in caso di recessione, risparmiando nei giorni in cui l’economia va bene. Nel frattempo, però, le stesse regole si sono rivelate pro-cicliche – invece che anti-cicliche – aggravando – invece di alleviare – i danni provocati dalla crisi.
Come complemento a quest’arma a doppio taglio, a Bruxelles si discute ora della possibilità di costruire uno stabilizzatore automatico sovranazionale. Più precisamente, l’idea è di creare un’assicurazione europea contro la disoccupazione, capace di intervenire per finanziare i sussidi in caso di perdita del lavoro, senza gravare sulle finanze pubbliche nazionali.
Non è questa tuttavia l’unica ragione per cui si ricomincia a parlare di questa idea, esattamente quaranta anni dopo la prima proposta del commissario Robert Marjolin.
Un altro dei problemi legati all’Unione monetaria incompleta è che l’integrazione con i paesi vicini rende la politica economica nazionale meno efficace, dal momento che una parte sarà destinata alle importazioni e non beneficerà in maniera diretta l’economia locale. Questo effetto, detto di spillover, riduce l’incentivo per il governo di un paese a stabilizzare l’economia in maniera appropriata nel corso di una crisi.
Non a caso, tutte le federazioni, dagli Stati Uniti alla Svizzera, sono dotate di un budget federale importante, nell’ordine del 15-20 per cento del Pil. A confronto l’Ue, con il suo 1 per cento del Pil, spende solo briciole.
La ricerca empirica conferma l’ipotesi degli spillover: è stato calcolato che in molti paesi, tra cui l’Italia e la Grecia, i sussidi di disoccupazione riescono a stabilizzare i consumi in caso di shock all’occupazione solo in minima parte: meno del 10 per cento contro il 25 per cento in Germania e Francia. Le spiegazioni possibili sono due: i sussidi arrivano a beneficiare solo una porzione limitata dei lavoratori disoccupati, oppure non sono abbastanza generosi per evitare l’eccessivo crollo dei consumi.
Il lavoro nelle politiche federali
Un altro buon motivo per elevare a “federale” la spesa per le politiche passive del lavoro risiede nei fallimenti del mercato. Per anni, gli esperti hanno ritenuto plausibile che in caso di crisi la mobilità di capitali e lavoro, combinata con aggiustamenti dei salari, avrebbe fatto ripartire le economie. Gli ultimi dati sulla mobilità nel continente smentiscono questa ipotesi. Nonostante la durata prolungata della recessione, la porzione di cittadini europei disposti a spostarsi in un altro paese resta fortemente limitata: lo 0,3 per cento ogni anno, pari a 1 milione e mezzo di persone, circa un decimo rispetto agli Stati Uniti.
La proposta di un’assicurazione europea contro la disoccupazione riscuote sempre più successi tra gli esperti: da Luigi Zingales a Daniel Gros, senza contare gli illustri fan della prima ora (i primi anni Novanta) come Charles Goodhart e Alexander Italianer. Ma non solo: l’idea potrebbe ricevere il plauso anche di un pubblico più generale, quello che sogna un’Europa solidale e in cui i diritti sociali non sono messi in secondo piano rispetto a quelli economici.
L’auspicio è che la proposta entri nel rapporto dei quattro presidenti – della Commissione, dell’Eurogruppo, del Consiglio e della Banca centrale europea – previsto per giugno, dal quale ci si aspettano proposte per migliorare la governance della zona euro.