“Siamo cannibali travestiti da vegani” (Negrita, “Il gioco”)
“Sto per avere un vecchio amico per cena stasera” (Hannibal Lecter, “Il silenzio degli Innocenti”)
“Chi oggigiorno vuole fare carriera deve essere un po’ cannibale” (Salvador Dalì)
La carne, la materia, la solidità delle viscere umide, l’immersione delle mani nel torbido sono i leitmotiv fondanti dei Kronoteatro, compagnia ligure di Albenga che quest’anno ha compiuto i dieci anni di attività e che, dopo la trilogia sui vincoli familiari (“Orfani”, “Pater familias” e “Hi, Mummy”), attacca il nuovo dittico (“della Resa”) con questo “Cannibali”, nuovo testo della drammaturga Fiammetta Carena che, anche questa volta, mette sul piatto incubi di vetri spezzati e derive marce. I Krono, l’anima è Maurizio Sguotti che organizza il vivo festival estivo “Terreni Creativi” ad agosto all’interno delle serre di Albenga, continuano la loro ricerca dentro le sottotracce del non detto, della vergogna primordiale, di queste zone d’ombra che tutti noi nascondiamo nel privato, coni d’oscurità da far emergere solo nell’intimo, a tratti patologico, delle nostre quattro mura, di mattoni claustrofobici oppure esistenziali racchiuse tra sterno e costole.
Un arbitro (Alex Nesti, imperturbabile dietro la sua trincea di suoni), papillon d’ordinanza, si accomoda al mixer che spazia da Morricone celestiale alla techno muscolare di bassi ballabili, di un match tra sconfitti: l’anziano e il giovane, il maestro e l’allievo, il padre (lo stesso Sguotti, feroce nella violenza psicologica che riesce a perpetrare e instillare) e il figlio (Tommaso Bianco, migliora di prova in prova per presenza e motivazioni). Teatro fisico, ma non solo; qui il gesto compulsivo di offesa ai danni dell’altro è il continuum lineare e la conseguenza diretta delle angherie, soprusi e abuso di potere di un ruolo contro il subalterno. Un gong seziona e fraziona i quadri, dove due poltrone, che a prima vista danno l’idea di comodo, di familiare, di salotto e di riposo ma che in realtà altro non sono se non troni che attendono il proprio scettro, agiscono da unico materiale scenico, riempiendo, nella loro vuotezza, di senso e di magma, l’intero quadrato-“ring”.
Quattro linee compongono la drammaturgia che, a differenza delle tre prove passate, risulta più composita e sedimentata, frastagliata ed espansa, onirica: gli spot che passano in audio, la poesia di Giacomo Leopardi, i cartoni giapponesi evocati dai due alla ricerca del supereroe che li salvi, un video di promozione turistica su La Sila, il Paradiso in Terra. Quattro bisettrici, che si tangono e poi veloci ripartono, che tagliano l’incastro di ginocchiere e gomitiere, come stelle comete nel buio, lampi ad imbiancare di luce i tremori e le paure relazionali. La freddezza di un padre nei confronti del figlio, piegato e piagato, che vuole affetto e comprensione e carezze (nei lavori dei Krono la madre è sempre la figura mancante, manchevole, deficitaria, assente: matrigna distante, distaccata e distruttiva), il prof con l’alunno-preda, lo psicologo e il paziente, il datore di lavoro e il disoccupato durante un colloquio.
Due generazioni a confronto dove la sottomissione e la prevaricazione sono gli unici codici riconosciuti di scambio umano, dove entrambi “non sanno più se vogliono una carezza o mordere”, confondendo lo schiaffo per contatto fisico, lo scontro per passaggio di calore. Il fallimento personale e sociale li attanaglia e la forza è soltanto l’altra faccia della medaglia della frustrazione che non fa stare meglio, se non momentaneamente, chi la applica scientificamente sui più deboli, lasciando comunque un buco di vuoto di senso appena finita l’endorfina del dolore imposto all’altro esorcizzando la propria incomprensione e solitudine. Se il maturo non vuol cedere il passo al nuovo che avanza deridendolo e lasciandolo ai margini dell’affermazione e dell’emancipazione, il ragazzo, quando può mettere in atto le dinamiche dell’homo homini lupus (quindi è l’occasione e l’opportunità che ci rende lupi o agnelli), non è da meno: il rampante giovane manager, il dietologo, il trentenne direttore di banca, il dentista, l’oculista, l’istruttore di palestra faranno valere la loro anagrafe sulle spalle malridotte e ingobbite del pensionato che dovrà scontare la pena del tempo che passa e infligge, che corre e ferisce. “E’ un mondo difficile, e futuro incerto”.
Visto ad Albenga, il 18 maggio 2015