Sessantamila lavoratori in Expo sottoposti ai controlli di questura e prefettura di Milano, 600 accrediti negati. Che per molti di loro ha significato licenziamento. Il 4 giugno, alla prefettura del capoluogo lombardo si è tenuto un incontro per fare il punto sulla vicenda dei pass rifiutati per lavorare all’interno dell’esposizione universale. Alla riunione hanno partecipato Expo spa, le associazioni datoriali e i sindacati. E sono le organizzazioni dei lavoratori a riportare i numeri forniti dalla prefettura. “Si è confermato che nel sito vige uno stato di polizia – commenta Antonio Lareno, responsabile Cgil per Expo – Il quadro è sconvolgente. La questura di Milano ha controllato 60mila cittadini e, in 600 casi, ha negato il permesso, senza rivelare i criteri con cui ha fornito un parere negativo”.

“La prefettura ha fatto riferimento al decreto 7 del 2015”, aggiunge Renato Zambetti, responsabile Cisl per Expo. Il titolo del provvedimento è “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo“: nel testo, tra le varie misure, si prevede la non applicazione di 25 articoli del Codice della privacy “se il trattamento è effettuato per finalità di polizia”. L’unico spiraglio nel confronto è stata l’ipotesi di un’integrazione del protocollo per la legalità in Expo. La prefettura ha proposto di permettere al lavoratore “respinto” da Expo di chiedere una revisione della propria posizione: nei prossimi incontri, si svilupperà questa possibilità.

Ma intanto, chi si è visto negare il pass rimane fuori dai cancelli dell’esposizione e, in buona parte dei casi, senza un’occupazione. A monte del problema, sta il meccanismo di accreditamento per i lavoratori del sito di Rho. Ogni azienda attiva all’interno della manifestazione deve comunicare a Expo spa i dati dei propri dipendenti. A questo punto, la società gira i nominativi alla questura e alla prefettura di Milano, che procedono a un controllo e forniscono un parere, positivo o negativo, sul rilascio dell’accredito per il lavoratore.

Le polemiche nascono dal fatto che non è dato sapere i criteri con cui le forze dell’ordine concedono o meno il via libera. Anche perché, in molti casi, i lavoratori sostengono di essere incensurati. Eppure, spesso è accaduto che le aziende, preso atto dell’impossibilità di introdurre il dipendente all’interno di Expo, hanno deciso di licenziarlo. Anche se, in certe situazioni, il lavoratore aveva già avuto accesso al sito. Altro paradosso: c’è chi, dopo avere incassato il rifiuto dell’accredito, ha continuato a entrare nel perimetro dell’esposizione comprando il biglietto. Già, perché i controlli delle forze dell’ordine interessano solo i lavoratori, non i visitatori.

Intanto, sindacati e avvocati dei lavoratori hanno fatto partire lettere di diffida e ricorsi nei confronti di Expo e delle aziende attive al suo interno. Eppure, sulla questione il governo tace. L’unico a parlare, qualche giorno fa, è stato il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, ai microfoni di Radio Popolare: “Expo è un sito sen­si­bile, di rilevanza stra­te­gica. Ci sono delle atti­vità di preven­zione i cui cri­teri non pos­sono essere resi noti per­ché per­de­reb­bero di efficacia”. Questo è l’unico intervento sul tema, in attesa del ministro Angelino Alfano: il deputato Sel Daniele Farina ha presentato un’interrogazione alla quale è previsto che Alfano risponda domani, il 5 giugno.

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